venerdì, novembre 11, 2016

GENIUS

Genius
di Michael Grandage
con Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman, Guy Pearce
Usa, Gran UK, 2016
genere, drammatico, biografico
durata, 104'



Più di qualche anno fa destò un certo scalpore la notizia riportata su alcuni quotidiani a proposito della collaborazione tra lo scrittore Raymond Carver e il suo editor Gordon Lish. Nell'articolo incriminato l'autore arrivava a dimostrare quanta e quale influenza avesse avuto quest'ultimo nell'invenzione dello stile minimale che era stato il tratto principale della scrittura carveriana, la caratteristica che oltre al successo lo avrebbe elevato a inventore di un vero e proprio movimento letterario. Prova ne erano le foto che riportavano in bella vista le correzioni apportate sulle bozze dei racconti che in taluni casi risultavano talmente rimaneggiati da assumere una forma diversa dall'originale. Se la questione si risolse più che altro in un dibattito tra esperti di settore ciò non toglie che la questione sia tutt'altro che chiusa; non solo riguardo a Carver e Lish ma più in generale rispetto a un modus operandi che, seppur in maniera ogni volta diversa, interessa le opere di qualsivoglia scrittore del nostro tempo. Il problema, bisogna dirlo, non è mai stato quello di invalidare l'arte contenuta all'interno dei singoli libri quanto la necessità di riconoscere il contributo di chi ha collaborato nel raggiungimento della forma definitiva.


Al quesito risponde più o meno direttamente "Genius", il film di Michael Grandage già in concorso all'ultima edizione del Festival di Berlino e, in anticipo sull'uscita Italiana, presentato in anteprima al pubblico della Festa del Cinema di Roma. Protagonisti della vicenda sono in ordine d'importanza cinematografica l'editore newyorkese Max Perkins, artefice delle pubblicazioni dei primi romanzi di F. Scott Fitzgerald ed Ernest Hemingway e lo scrittore Thomas Wolfe, di cui Perkins curò la pubblicazione dei titoli di maggior successo. Basato su "Max Perkins: Editor of Genius" del biografo A. Scott Berg, il film di Grandage rilegge le tappe salienti della biografia pubblica dei due protagonisti allargandone la portata agli aspetti privati e intimi della loro collaborazione, quelli che normalmente rimangono segreti agli occhi dei lettori. Puntando a rinnovare l'impresa de "Il discorso del re", i produttori del film di Tom Hooper ritrovano Colin Firth (nella parte di Perkins) e lo mettono a disposizione di Grandage consegnandogli un progetto che il regista indirizza in due direzioni convergenti finalizzate a coinvolgere un pubblico differenziato ed eterogeneo: quello più popolare, appassionato del genere biopic per la peculiarità con cui questo tipo di cinema rilegge le storie dei grandi uomini e un altro, meno numeroso ma forse più accanito nel ricercare titoli meno scontati e in grado di mettere in discussione realtà consolidate. Come accade in "Genius" quando, nel raccontare l'amicizia di due uomini che si incontrano per ragioni di lavoro e finiscono per frequentarsi come fossero padre e figlio, Grandage mescola narrativa da Bildungsroman e sguardo autoriale riflessi rispettivamente nel tormentato quanto prolifico rapporto - scandito da una progressiva presa di coscienza delle ragioni dell'uno e dell'altro - tra i due protagonisti e, appunto, nella speculazione intorno al concetto di talento artistico che il film di Grandage non fatica a ritrovare nelle capacità di Perkins di convogliare l'anarchia letteraria di Wolfe (non a caso amata dagli autori della Beat Generation) all'interno di un formato che la rendesse appetibile a un numero maggiore di lettori. E se nel primo caso "Genius" soddisfa le aspettative attraverso il raffronto di caratteri che contrappone l'ipertrofismo egotico di Wolfe (interpretato da un Jude Law in una versione più maledetta che bella) alla determinata pacatezza del suo pigmalione (a cui un ottimo Colin Firth regala un'autorità priva di saccenza), per ciò che concerne la questione relativa ai presunti meriti di Perkins da un canto ne certifica la fondatezza impostando buona parte della vicenda sull'impresa - andata a buon fine - di trasformare la prima stesura - ricca di oltre cinquemila pagine - di uno dei romanzi più celebri di Wolfe in un tomo di normali dimensioni mantenendone intatte le qualità primarie; dall'altra si svincola da sospetti di lesa maestà nei riguardi dello scrittore con le parole dello stesso Perkins che, all'indomani dell'acclamata pubblicazione di "Of Time and the River", afferma di non sapere se le modifiche apportate all'opera di Wolfe ne abbiano migliorato la qualità dell'arte e non siano solo state utili ad aumentarne la commerciabilità.


Che poi "Genius" non fosse in grado di dire l'ultima parola sulla questione in calce alla presente era cosa immaginabile. A Grandage va però dato merito di aver trovato la maniera giusta di parlarne, togliendo all'argomento la pesantezza e i tecnicismi che di solito impediscono di appassionarsi a una simile materia. D'altro canto, questo non esenta il film dalla tendenza propria del biopic di procedere per semplificazioni successive riguardanti l'equazione tra furore creativo e sofferenza primigenia che cristallizza il personaggio di Wolfe all'interno di una dimensione emotiva che non conosce mezze misure, oscillando tra fulminei avvilimenti e improvvise esaltazioni; facilitazioni che investono anche i camei dei clienti più illustri di Perkins, e parliamo dei vari Hemingway (Guy Pearce) e Fitzgerald (Dominic West), per una volta strappati alla tirannia di certo mimetismo attoriale - che, soprattutto, nelle differenza fisionomica di Pearce rispetto al proprio alter-ego dimostra il tentativo di Grandage di superarlo in favore di una ricostruzione più ideale che iconografica - ma per questioni di tempo declinati senza sfumature e secondo le specificità più tipiche della loro biografie.
(pubblicato su ondacinema.it)

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