Killer Joe
di William Friedkin
con Matthew McConaughey, Juno Temple, Emile Hirsh, GIna Gershon
Usa, 2011
genere, drammatico
durata, 102'
Nella sua ultima fatica Friedkin opera un ulteriore scarto rispetto alle modalità espressive utilizzate nel suo cinema più recente. In Killer Joe, infatti, a fronte di una rappresentazione realistica dell'orrore oramai considerata invalsa, si reagisce forzando lo stile al punto di mescolare il serio al faceto, il dramma alla commedia, con esiti che ampliano lo spettro della rappresentazione in una sintesi in cui angoscia e iperrealismo prendono alternativamente il sopravvento di una scena ormai preda di un'incontrollata follia. Al centro della storia del film troviamo una famiglia di rednecks avvilita da ignoranza e mancanza di denaro. L'altra faccia di un sogno americano richiamato dall'opzione di un benessere improvviso, regalato alla famiglia Smith attraverso la possibilità di riscuotere i soldi dell'assicurazione sulla vita intestata alla madre, separata e convivente. Per forzare gli eventi in quella direzione, l'improvvisato sodalizio decide di ingaggiare un poliziotto che arrotonda lo stipendio uccidendo le persone su commissione dietro lauto pagamento.
E' lui Killer Joe, angelo della morte freddo e sistematico fino a quando si invaghisce di Dotti, sorella un po' tarda di Chris, il figlio che ha ideato il piano allo scopo di recuperare in tempo utile il denaro necessario a ripagare un debito che potrebbe costargli la vita. Da quel momento tutto si complica e si distorce spingendo la storia verso una conclusione tanto drammatica quanto grottesca. Friedkin sembra avere un solo scopo: distruggere i pilastri della società americana. Per farlo azzera qualsiasi differenza all'interno del nucleo familiare attorno a cui ruota la vicenda. E lo fa in maniera diretta e senza alcun rispetto, tanto per le convenzioni sociali quanto per quelle cinematografiche, a cominciare dalla prima scena con il full frontal della matrigna di Chris (una Gina Gershon invecchiata di colpo) sbattuto in faccia al ragazzo e allo spettatore, e continuando, senza distinzioni tra genitori (biologici o acquisiti) e figli, pronti a scannarsi per il più misero tornaconto. Incesto, matricidio, tradimento, pedofilia, tutto è possibile in questo inferno a cielo aperto. Senza stato ne famiglia, con la giustizia ridotta ad utopia, l'America di Friedkin si misura nella quantità di sangue versato. Per non farsi mancare niente, e ricordandosi della lezione del collega Romero che attraverso i suoi Zombie criticava il sistema consumistico, anche Friedkin organizza il suo de profundis capitalistico con una delle sequenze più agghiaccianti ed allo stesso tempo ridicole, quella in cui il personaggio della Gershon, in un crescendo di violenza e parossismo, è costretta ad inginocchiarsi di fronte al killer ed a fargli una fellatio prendendo in bocca la coscia di pollo fritto, tra i simboli di consumo più tipici del quotidiano a stelle e strisce, maneggiato come fosse un vero fallo. Quel pollo fritto, usato e poi gettato con disprezzo, è il crollo di ogni parvenza di efficienza e prosperità perchè tutto è destinato ad essere travolto dalla furia di un'umanità disperata. L'America non esiste più, inghiottita dentro l'oscurità della dissolvenza che chiude il film con il primo piano della pistola sul punto di far partire il proiettile che mette fine al gioco. Alle prese con una storia di disfunzioni e di paura, Friedkin non esita a fare del suo film una vera e propria apoteosi della carne offerta come esposizione in bella vista di corpi trascurati - date un'occhiata alle forme voluttuosamente imperfette di Juno Temple o a quelle rifatte e allentate di Gina Gershon per farvene un' idea - oppure conseguenza delle sevizie e della violenze subite che, nel caso di Chris (Emil Hirsh) malmenato e tumefatto diventano cartina di tornasole di una corruzione che distrugge l'individuo in senso fisico.
In alternativa, il regista contempla, seppur con un sorriso ghignante, taluni momenti di romantica sublimazione nella relazione tra Joe e Dotti, in cui lo slancio sentimentale e rarefatto vira spesso verso implicazioni pragmatiche, basti pensare al primo incontro dove la cena a lume di candela diventa il preliminare di un peepshow culminato in un inatteso amplesso. Scelta, questa, rafforzata dalla presenza costante di elementi naturali come l'acqua (nella prima parte del film la pioggia fa da sfondo alle azioni dei personaggi), e il fuoco, oppure ancestrali come il sogno e la pulsione - incestuosa quella di Chris nei confronti della sorella, amorale quella di Joe nei confronti della ragazzina - a ricordarci che Killer Joe è un esplosione irrazionale di istinti primordiali.
Se la parte centrale dell'opera è quella meno efficace, con uno sviluppo fin troppo ordinario e qualche passaggio affrettato - la sottotrama relativa all'ultimatum dei creditori nei confronti di Chris viene abbandonata senza nessuna conseguenza - a rimanere in mente è quello che succede prima e dopo, in cui Friedkin pare rendere merito ad un cinema che mette insieme Lynch (nella prima parte, quella dedicata alla presentazione dei personaggi e della storia) e Tarantino (nella parte conclusiva), quella della resa dei conti. Presentato in concorso nell'edizione 2011 del Festival di Venezia, Killer Joe conferma il tratto distintivo di un regista la cui manifesta insoddisfazione verso la presunta normalità delle cose consegna a un itinerario ben lungi dal dirsi concluso.
(http://www.ondacinema.it/monografie/scheda/william_friedkin.html)
di William Friedkin
con Matthew McConaughey, Juno Temple, Emile Hirsh, GIna Gershon
Usa, 2011
genere, drammatico
durata, 102'
Nella sua ultima fatica Friedkin opera un ulteriore scarto rispetto alle modalità espressive utilizzate nel suo cinema più recente. In Killer Joe, infatti, a fronte di una rappresentazione realistica dell'orrore oramai considerata invalsa, si reagisce forzando lo stile al punto di mescolare il serio al faceto, il dramma alla commedia, con esiti che ampliano lo spettro della rappresentazione in una sintesi in cui angoscia e iperrealismo prendono alternativamente il sopravvento di una scena ormai preda di un'incontrollata follia. Al centro della storia del film troviamo una famiglia di rednecks avvilita da ignoranza e mancanza di denaro. L'altra faccia di un sogno americano richiamato dall'opzione di un benessere improvviso, regalato alla famiglia Smith attraverso la possibilità di riscuotere i soldi dell'assicurazione sulla vita intestata alla madre, separata e convivente. Per forzare gli eventi in quella direzione, l'improvvisato sodalizio decide di ingaggiare un poliziotto che arrotonda lo stipendio uccidendo le persone su commissione dietro lauto pagamento.
E' lui Killer Joe, angelo della morte freddo e sistematico fino a quando si invaghisce di Dotti, sorella un po' tarda di Chris, il figlio che ha ideato il piano allo scopo di recuperare in tempo utile il denaro necessario a ripagare un debito che potrebbe costargli la vita. Da quel momento tutto si complica e si distorce spingendo la storia verso una conclusione tanto drammatica quanto grottesca. Friedkin sembra avere un solo scopo: distruggere i pilastri della società americana. Per farlo azzera qualsiasi differenza all'interno del nucleo familiare attorno a cui ruota la vicenda. E lo fa in maniera diretta e senza alcun rispetto, tanto per le convenzioni sociali quanto per quelle cinematografiche, a cominciare dalla prima scena con il full frontal della matrigna di Chris (una Gina Gershon invecchiata di colpo) sbattuto in faccia al ragazzo e allo spettatore, e continuando, senza distinzioni tra genitori (biologici o acquisiti) e figli, pronti a scannarsi per il più misero tornaconto. Incesto, matricidio, tradimento, pedofilia, tutto è possibile in questo inferno a cielo aperto. Senza stato ne famiglia, con la giustizia ridotta ad utopia, l'America di Friedkin si misura nella quantità di sangue versato. Per non farsi mancare niente, e ricordandosi della lezione del collega Romero che attraverso i suoi Zombie criticava il sistema consumistico, anche Friedkin organizza il suo de profundis capitalistico con una delle sequenze più agghiaccianti ed allo stesso tempo ridicole, quella in cui il personaggio della Gershon, in un crescendo di violenza e parossismo, è costretta ad inginocchiarsi di fronte al killer ed a fargli una fellatio prendendo in bocca la coscia di pollo fritto, tra i simboli di consumo più tipici del quotidiano a stelle e strisce, maneggiato come fosse un vero fallo. Quel pollo fritto, usato e poi gettato con disprezzo, è il crollo di ogni parvenza di efficienza e prosperità perchè tutto è destinato ad essere travolto dalla furia di un'umanità disperata. L'America non esiste più, inghiottita dentro l'oscurità della dissolvenza che chiude il film con il primo piano della pistola sul punto di far partire il proiettile che mette fine al gioco. Alle prese con una storia di disfunzioni e di paura, Friedkin non esita a fare del suo film una vera e propria apoteosi della carne offerta come esposizione in bella vista di corpi trascurati - date un'occhiata alle forme voluttuosamente imperfette di Juno Temple o a quelle rifatte e allentate di Gina Gershon per farvene un' idea - oppure conseguenza delle sevizie e della violenze subite che, nel caso di Chris (Emil Hirsh) malmenato e tumefatto diventano cartina di tornasole di una corruzione che distrugge l'individuo in senso fisico.
In alternativa, il regista contempla, seppur con un sorriso ghignante, taluni momenti di romantica sublimazione nella relazione tra Joe e Dotti, in cui lo slancio sentimentale e rarefatto vira spesso verso implicazioni pragmatiche, basti pensare al primo incontro dove la cena a lume di candela diventa il preliminare di un peepshow culminato in un inatteso amplesso. Scelta, questa, rafforzata dalla presenza costante di elementi naturali come l'acqua (nella prima parte del film la pioggia fa da sfondo alle azioni dei personaggi), e il fuoco, oppure ancestrali come il sogno e la pulsione - incestuosa quella di Chris nei confronti della sorella, amorale quella di Joe nei confronti della ragazzina - a ricordarci che Killer Joe è un esplosione irrazionale di istinti primordiali.
Se la parte centrale dell'opera è quella meno efficace, con uno sviluppo fin troppo ordinario e qualche passaggio affrettato - la sottotrama relativa all'ultimatum dei creditori nei confronti di Chris viene abbandonata senza nessuna conseguenza - a rimanere in mente è quello che succede prima e dopo, in cui Friedkin pare rendere merito ad un cinema che mette insieme Lynch (nella prima parte, quella dedicata alla presentazione dei personaggi e della storia) e Tarantino (nella parte conclusiva), quella della resa dei conti. Presentato in concorso nell'edizione 2011 del Festival di Venezia, Killer Joe conferma il tratto distintivo di un regista la cui manifesta insoddisfazione verso la presunta normalità delle cose consegna a un itinerario ben lungi dal dirsi concluso.
(http://www.ondacinema.it/monografie/scheda/william_friedkin.html)
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