La notte brava del soldato Jonathan"/"The beguiled"
di Don Siegel
con: Clint Eastwood, Geraldine Page
USA 1971
durata,105'
Sorprendendo un po' tutti - la critica se la cavò arruolando Siegel nella schiera dei cineasti americani dal gusto europeo; il pubblico, più prosaicamente, disertò le sale, decretando il più grosso fiasco nella carriera dell'autore - il regista di Chicago realizza nel 1971 "La notte brava del soldato Jonathan"/"Beguiled" (produzione Malpaso), singolare incursione nel racconto gotico di ambientazione western, misconosciuto capolavoro pessimista, intriso di misoginia e disperazione.
Durante le fasi estreme - quelle, in genere, più cruente in ogni conflitto - della Guerra di Secessione, nel profondo sud degli Stati Uniti un soldato nordista ferito, Jonathan Mc Burney/C.Eastwood viene soccorso dalle donne ospiti di un collegio femminile (una istitutrice, un'insegnante e tre allieve di età diverse), che anziché riconsegnarlo come prassi alle milizie confederate decidono, per motivazioni diverse, di prendersene cura. Guarito in fretta, grazie alle assidue attenzioni prestategli, Mc Burney comincia a fantasticare sulla possibilità di trarre il massimo vantaggio - in specie carnale - dalla permanenza coatta. Ma è appunto una sfiziosa congettura. Ognuna in realtà interessata ad un rapporto esclusivo, le quattro donne adulte (la quinta è una bambina di pochi anni), ad un primo momento di subdola competizione e di personali illusioni infrante sostituiscono ben presto l'antico e ben collaudato sistema della fratellanza al femminile che, nel caso, non concederà scampo al soldato opportunista e gli confezionerà una fine orribile, in linea perfetta col titolo originale del film (beguiled sta infatti per affascinato ma pure ingannato, irretito, cioè preso in trappola). Già rileggere la vicenda per sommi capi si presta a evocare echi letterari, luoghi tipici di una tradizione, rimandi psicologici e dinamiche umane: James ma pure Williams e Faulkner, ossia il mondo immutabile, ovattato quanto violento e crudele del grande Sud americano. Quindi l'appetito e la repressione sessuale legati a filo doppio all'istinto di sopraffazione e di morte; una natura incontaminata che tutto vede e tollera ma che sembra sempre sul punto di richiudersi sull'uomo, sulle sue smanie, le sue azioni, per tacitarlo e riportarlo a sé.
Ciò che più di tutto colpisce, però, è la maestria e il tocco con cui Siegel - per il grande pubblico, creatore di macchine filmiche votate all'azione, al pragmatismo della resa - orchestra partiture interiori complicate, maneggia silenzi, ossessioni al limite dell'indagine psicoanalitica; indaga, senza pose da rivoluzionario ma anche senza ritrosie, i lati più torbidi del desiderio, della frustrazione e della pretesa di possesso. E lo fa da par suo, utilizzando tutti i linguaggi e gli stereotipi adatti alla bisogna: cambi ripetuti del punto di vista. dissolvenze incrociate, inquadrature sghembe o eccentriche, accorti ralenti; false piste, interpolazione dei registri realistico e fantastico. Come pure - coadiuvato dalle scelte cromatiche di Surtees e dalle musiche di Schifrin - icone/feticcio dell'immaginario gotico, della favola nera, persino dell'universo horror. Ecco, allora, specchi e avvolgenti scale buie illuminate dalle sole candele; figure femminili in ampi abiti che catturano o restituiscono le sorgenti luminose; viluppi, intrichi vegetali, i live oaks, le leggendarie querce del Sud, che proteggono ma pure assediano e isolano il collegio dal mondo. Addirittura, evidenti riferimenti al rinascimento italiano nelle scene d'impianto onirico/allucinatorio. Ugualmente inattesa è la prova di Eastwood, qui in grado di aggiungere toni maliziosi e sfuggenti alla tradizionale maschera di cowboy/poliziotto/individuo solitario insondabile, di demistificare e quindi capovolgere l'aura virile che lo caratterizza fino a dissacrarla, se è vero che l'amputazione della gamba infertagli ad un certo punto dal quintetto muliebre come primo di tanti castighi a riparazione della sua agognata promiscuità, è fin troppo scoperta metafora di ben altra mutilazione.
Girato tra New Orleans e Baton Rouge, “Beguiled" si avvale inoltre di una precisa ricostruzione delle vicende storiche. Si apre, infatti, su autentiche immagini della Guerra Civile, con Mc Burney/Eastwood a ruota trasportato all'interno del collegio, e si chiude con lo stesso protagonista seppellito al di fuori della proprietà, nel silenzio di una natura rigogliosa e placida, come a sancire la ritrovata sacralità del luogo depurato della presenza dell'elemento estraneo perturbatore. All'interno di questo moto circolare che alimenta tutta la pellicola, Siegel opera anche la propria personale elegia/rilettura dell'epopea della nascita di una nazione, sottolineando con composto disincanto che davvero per gli eroi non c'è più posto. Bene e Male - paradigmi tipici anche del western - sfumano senza attrito l'uno nell'altro. Il Caos, inteso come dissidio - e la guerra è solo uno dei suoi pressoché infiniti volti - s'impone quasi come logico risultato di sempre uguali premesse, mentre il Bene non è certo rappresentato dal soldato Mc Burney, bugiardo (si spaccia, per dire, per mormone), ondivago e profittatore. E tanto meno è incarnato dalle donne, con sfumature diverse tutte infelici, rose al tempo da una gelosia reciproca quanto da una brama di vivere estenuantemente insoddisfatta, che le trasforma - senza troppi ritegni, a guardar bene, o traumi - in un perverso clan omicida. Eliminato l'alone del mito, alla frontiera non resta che assumere le meste sembianze d'una ripetuta e fredda resa dei conti, dove onore e lealtà sono parole stranite d'una macabra litania e nemmeno la presenza femminile è più in grado di offrire ricompensa o consolazione.
TFK
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