giovedì, gennaio 10, 2008
Cinema mediterraneo
Leggendo un intervista rilasciata dal regista di “Cous Cous” (ultrasponsorizzato dai “Pantaloni”che ancora ne piangono la mancata vittoria nella “Palude Veneziana”) in occasione della sua presentazione alla stampa italiana mi ha colpito la frase in cui, risponendo alla domanda sul tipo di cinematografia che lo ha ispirato Kechiche parla di “Ladri di biciclette” come esempio di quel “Cinema Mediterraneo” di cui vorrebbe riproporre lo spirito. Pare di capire che Mediterraneo non è solo un luogo geografico e cinematografico ma anche uno stato dell’anima, che si ha ogni qualvolta il cinema riproduce il sentimento di appartenenza ad una cultura nata sulle sponde di quel mare che ha impregnato “Leuropalatina” delle contraddizioni necessarie ad assaporare il gusto della vita ed è stato il vettore di una cultura di sangue e passione, carnale e rarefatta, indolente ma innamorata, dove l’arte di arrangiarsi non è solo uno slogan ma la conseguenza di una condizione che viene da lontano. Un cinema meticcio che getta acqua sul fuoco del razzismo e delle differenze culturali evidenziando quegli elementi di contatto (i colori della natura ed il piacere della tavola, i legami tribali ed il vitalismo irrefrenabile) che si tramandano di generazione in generazione a dimostrare una comune dignità di cui qualche volta ci accorgiamo (mi riferisco a “Lamerica” capolavoro assoluto di Gianni Amelio dove seppur con una rotta diversa il regista calabrese arriva alle stesse conclusioni). “Cous Cous” titolo italiano che fa folklore e sgrezza ingiustamente la fantastica semplicità di quello originale (Le greine e le Mullet) al di là delle frasi retoriche e dei soliti schemi potrebbe essere il punto di partenza per un Dogma Levantino impossibile da definire eppure reale, senza regole e proclami, di anima e di carne, mistico e sensuale come i sogni concreti di un mondo che lotta per la vita.
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