Il consesso letterario diventa quasi subito una terapia di gruppo nella quale i libri prendono vita attraverso il vissuto delle protagoniste, il cui cotè è perfettamente calato in quel mondo di frizzanti schermaglie e improvvise ritrosie, dove l’incapacità di lasciarsi andare fino in fondo è compensata da un crogiuolo di incontenibili contraddizioni che costituiscono quell’ onda di calda umanità negata ad oltranza da tanto cinema contemporaneo. In questo contesto non bisogna stupirsi se gioie e dolori vengono accomunati da una visione conciliante ed in fin dei conti consolatoria perché lo scopo dell’opera non è quella di fornire un prontuario sulla vita ma concedere allo spettatore uno sguardo svincolato da qualsiasi determinismo o presunta ideologia e riportarlo in quella sospensione emotiva dove il male non esiste e la felicità è una chimera a portata di mano. Interpretato da un gruppo di attrici tutte in parte tra le quali si distinguono l’emergente Emily Blunt, deliziosamente irriconoscibile rispetto al ruolo della nevrotica segretaria de il Diavolo veste Prada, Maria Bello, materna e sensuale nel ruolo di single impenitente, Kathy Baker, ironica e scansonata nell’interpretare una sorte di madre putativa per l’eccentrico gruppo, il Club di Jane Austen, nonostante la densità dei dialoghi che, specialmente nella seconda parte, quando il film tira le fila degli intrecci narrativi, rischiano di rallentarne il ritmo, è un film da consigliare a tutti coloro che amano le donne ma anche a chi, tra il genere maschile si lamenta di non conoscerne i segreti e continua a non capire che l’altra metà del cielo è più vicina di quanto si possa credere: basterebbe rimanere in silenzio per un momento e provare ad ascoltarla.
martedì, gennaio 22, 2008
Il club di Jane Austen
Il consesso letterario diventa quasi subito una terapia di gruppo nella quale i libri prendono vita attraverso il vissuto delle protagoniste, il cui cotè è perfettamente calato in quel mondo di frizzanti schermaglie e improvvise ritrosie, dove l’incapacità di lasciarsi andare fino in fondo è compensata da un crogiuolo di incontenibili contraddizioni che costituiscono quell’ onda di calda umanità negata ad oltranza da tanto cinema contemporaneo. In questo contesto non bisogna stupirsi se gioie e dolori vengono accomunati da una visione conciliante ed in fin dei conti consolatoria perché lo scopo dell’opera non è quella di fornire un prontuario sulla vita ma concedere allo spettatore uno sguardo svincolato da qualsiasi determinismo o presunta ideologia e riportarlo in quella sospensione emotiva dove il male non esiste e la felicità è una chimera a portata di mano. Interpretato da un gruppo di attrici tutte in parte tra le quali si distinguono l’emergente Emily Blunt, deliziosamente irriconoscibile rispetto al ruolo della nevrotica segretaria de il Diavolo veste Prada, Maria Bello, materna e sensuale nel ruolo di single impenitente, Kathy Baker, ironica e scansonata nell’interpretare una sorte di madre putativa per l’eccentrico gruppo, il Club di Jane Austen, nonostante la densità dei dialoghi che, specialmente nella seconda parte, quando il film tira le fila degli intrecci narrativi, rischiano di rallentarne il ritmo, è un film da consigliare a tutti coloro che amano le donne ma anche a chi, tra il genere maschile si lamenta di non conoscerne i segreti e continua a non capire che l’altra metà del cielo è più vicina di quanto si possa credere: basterebbe rimanere in silenzio per un momento e provare ad ascoltarla.
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