TFF 30
TorinoFilmFestival 2012
- sez. "Rapporto confidenziale" -
"Compliance"
di: C. Zobel
con: A. Dowd, D. Walker, P. Healy
- USA 2012 -
Pur pervaso da sempre più evidenti correnti di ripulsa e aperte ostilità,
difficilmente al "sistema" in cui siamo stati abituati a vivere viene negato o rimproverato - anche come riflesso involontario - il principio di razionalità che lo regge e di conseguenza lo giustifica.
Anzi, di prassi, il nostro tempo (la cosiddetta "modernità") e' utilizzato
come sinonimo di razionalità, ne' più ne' meno.
Eppure, al cospetto di un'opera come "Compliance" dell'americano Craig Zobel, presentata al TFF nella sezione "Rapporto confidenziale", dopo essere passata per il Sundance e Locarno, qualche salutare dubbio si fa strada e pratica delle brecce in tanta rassicurante uniformità; le spinte prettamente irrazionali che serpeggiano ben dentro il nostro cosiddetto "ordine" vi risultano vive e pervasive al punto da essere sempre più spesso alla base di avvenimenti bizzarri, genericamente inusuali o addirittura, come nel nostro caso, tragici.
Al netto di ogni giudizio - lo si dica subito - un film come questo risulta
utile, se non altro - trattandosi di fatti realmente accaduti - perché invita a
mantenere sempre desta la capacita di osservazione della realtà e lo spirito
critico, qualunque sia il contesto e la cogenza delle forze che v'interagiscono
imponendo l'osservanza ("compliance", appunto) cieca delle regole, la loro
presunta razionalità - diretta, indotta, forzata, scaturita dall'indifferenza
et. -
In quel microcosmo metaforico che e' un fast-food, una cameriera viene
accusata telefonicamente da un sedicente agente di polizia co-responsabile in
una ipotetica indagine su più vasta scala, di avere derubato una cliente. La
ragazza - tipica post teenager americana, col suo tipico biondo decolorato,
tipiche unghie iper laccate, tipico cellulare di ultima generazione (la
custodia in tinta con le unghie), tipica famiglia semi-disfunzionale, tipica
espressione tra l'assente e il perplesso - nega. Ma più lei cantilena "I didn't
steal anything", più, col tempo, viene dai suoi "pari" (la dirigente, alcuni
colleghi passivi o disinteressati, estranei sopraggiunti), implacabilmente
imbeccati dall'"autorità" via telefono, sottoposta ad ogni tipo di umiliazione
e vessazione fino a...
Tra Kafka e Lynch, Zobel, rispettando le unita di luogo e di tempo - pressoché
l'intera azione si svolge in un ufficio-ripostiglio del fast-food secondo una
scansione quasi cronologica - compone un disegno via via sempre più
allucinatorio ma dai contorni spaventosamente palpabili e dai colori vistosi,
come dimostrano i numerosi inserti di primi e primissimi piani di oggetti e
gesti ordinari - la friggitrice in perenne ebollizione; gli anodini scambi di
battute ai tavoli; le provviste impilate in scatoloni; il dettaglio di un
angolo di un piano di lavoro metallico punteggiato di avanzi organici - a
testimoniare la progressiva disgregazione delle direttrici guida che tengono
insieme il tessuto del nostro mondo, la sua comprensibilità, il punto di non
ritorno dove la follia diventa logica.
Tale progressione infonde fin da subito la persistente quanto poco piacevole
sensazione per cui, davvero, oramai non c'e più tanta differenza tra noi -
essere umani ? - e l'universo di oggetti che ci circonda e il cui senso ultimo
sta/dovrebbe stare nel disporre senza remore di loro. Nel senso che in
determinate e tutt'altro che eccezionali circostanze, uomini, donne e cose
finiscono per essere accomunati dall'identica quanto stringente aberrazione
dell'acquisto/uso/distruzione a cui solo un evento fortuito, un caso
(l'antitesi, almeno in superficie, della razionalità) sembra ancora in grado di
opporsi.
L'idea terribile che striscia nel film geometrico e stranito di Zobel e'
proprio questa: non tanto l'orrore e' in noi ed e' sempre al lavoro ma la
società più "razionale" che sia mai esistita e' il suo organismo di elezione,
l'ambiente più favorevole alla sua incessante riproduzione.
TheFisherKing
TorinoFilmFestival 2012
- sez. "Rapporto confidenziale" -
"Compliance"
di: C. Zobel
con: A. Dowd, D. Walker, P. Healy
- USA 2012 -
Pur pervaso da sempre più evidenti correnti di ripulsa e aperte ostilità,
difficilmente al "sistema" in cui siamo stati abituati a vivere viene negato o rimproverato - anche come riflesso involontario - il principio di razionalità che lo regge e di conseguenza lo giustifica.
Anzi, di prassi, il nostro tempo (la cosiddetta "modernità") e' utilizzato
come sinonimo di razionalità, ne' più ne' meno.
Eppure, al cospetto di un'opera come "Compliance" dell'americano Craig Zobel, presentata al TFF nella sezione "Rapporto confidenziale", dopo essere passata per il Sundance e Locarno, qualche salutare dubbio si fa strada e pratica delle brecce in tanta rassicurante uniformità; le spinte prettamente irrazionali che serpeggiano ben dentro il nostro cosiddetto "ordine" vi risultano vive e pervasive al punto da essere sempre più spesso alla base di avvenimenti bizzarri, genericamente inusuali o addirittura, come nel nostro caso, tragici.
Al netto di ogni giudizio - lo si dica subito - un film come questo risulta
utile, se non altro - trattandosi di fatti realmente accaduti - perché invita a
mantenere sempre desta la capacita di osservazione della realtà e lo spirito
critico, qualunque sia il contesto e la cogenza delle forze che v'interagiscono
imponendo l'osservanza ("compliance", appunto) cieca delle regole, la loro
presunta razionalità - diretta, indotta, forzata, scaturita dall'indifferenza
et. -
In quel microcosmo metaforico che e' un fast-food, una cameriera viene
accusata telefonicamente da un sedicente agente di polizia co-responsabile in
una ipotetica indagine su più vasta scala, di avere derubato una cliente. La
ragazza - tipica post teenager americana, col suo tipico biondo decolorato,
tipiche unghie iper laccate, tipico cellulare di ultima generazione (la
custodia in tinta con le unghie), tipica famiglia semi-disfunzionale, tipica
espressione tra l'assente e il perplesso - nega. Ma più lei cantilena "I didn't
steal anything", più, col tempo, viene dai suoi "pari" (la dirigente, alcuni
colleghi passivi o disinteressati, estranei sopraggiunti), implacabilmente
imbeccati dall'"autorità" via telefono, sottoposta ad ogni tipo di umiliazione
e vessazione fino a...
Tra Kafka e Lynch, Zobel, rispettando le unita di luogo e di tempo - pressoché
l'intera azione si svolge in un ufficio-ripostiglio del fast-food secondo una
scansione quasi cronologica - compone un disegno via via sempre più
allucinatorio ma dai contorni spaventosamente palpabili e dai colori vistosi,
come dimostrano i numerosi inserti di primi e primissimi piani di oggetti e
gesti ordinari - la friggitrice in perenne ebollizione; gli anodini scambi di
battute ai tavoli; le provviste impilate in scatoloni; il dettaglio di un
angolo di un piano di lavoro metallico punteggiato di avanzi organici - a
testimoniare la progressiva disgregazione delle direttrici guida che tengono
insieme il tessuto del nostro mondo, la sua comprensibilità, il punto di non
ritorno dove la follia diventa logica.
Tale progressione infonde fin da subito la persistente quanto poco piacevole
sensazione per cui, davvero, oramai non c'e più tanta differenza tra noi -
essere umani ? - e l'universo di oggetti che ci circonda e il cui senso ultimo
sta/dovrebbe stare nel disporre senza remore di loro. Nel senso che in
determinate e tutt'altro che eccezionali circostanze, uomini, donne e cose
finiscono per essere accomunati dall'identica quanto stringente aberrazione
dell'acquisto/uso/distruzione a cui solo un evento fortuito, un caso
(l'antitesi, almeno in superficie, della razionalità) sembra ancora in grado di
opporsi.
L'idea terribile che striscia nel film geometrico e stranito di Zobel e'
proprio questa: non tanto l'orrore e' in noi ed e' sempre al lavoro ma la
società più "razionale" che sia mai esistita e' il suo organismo di elezione,
l'ambiente più favorevole alla sua incessante riproduzione.
TheFisherKing