martedì, giugno 11, 2013

Ritratti: WINONA RYDER (II)


- parte seconda -

Personaggi come quello (duplice) di Elisabeta/Mina nel "Bram Stoker's Dracula"/"Dracula di Bram Stoker", 1992, di F. F. Coppola e più ancora di May in "The age of innocence"/"L'eta ' dell'innocenza", 1993, di Martin Scorsese, tratto dall'omonimo romanzo di Edith Wharton, sembrano fatti apposta per esaltare questa singolare ambivalenza, questo modo sottile e massimamente equivoco di giocare con una figura di "vittima" - o quanto meno di donna inserita in un contesto di vulnerabilità - capace invece d'infliggere ferite profonde e durature in chi la circonda. Che ci si trovi, infatti, fra gl'imponenti barocchismi e i cupi splendori di Coppola per raccontare di un "vampirismo" di fondo dell'umana esperienza di cui il Cinema non e' che lo specchio riflettente/deformante, o nel non meno inquietante sfarzo dei salotti aristocratici del bel mondo newyorkese della seconda meta' dell'Ottocento, risalta nello sguardo, nell'apparente impassibilità, in una sorta d'imponderabile "stasi" sfuggente della sua stessa presenza, il fondamento irrisolto e contraddittorio che la Ryder sovrappone alle sue eroine schive e complicate, a cui ora non e' poi più così estraneo un attendismo viscoso e scaltro, propenso a virare con sagace perfidia in disposizione vendicativa: quasi un richiamo - a mo' di chiusura del cerchio - all'ammonimento di Auden, se non addirittura a quello di Blake, tarati entrambi sulla stessa lunghezza d'onda della saggezza popolare ("still waters run deep", l'uno; "expect poison from the standing water", l'altro) circa l'ammaliante pericolosità delle "acque chete". L'avvenuta, diciamo così, "trasformazione", si coglie già in quello che, al netto di meriti e demeriti, e' rimasto come uno degli emblemi incancellabili di quella "generazione X" che Douglas Coupland aveva ritratto nell'omonimo romanzo/autoanalisi neanche tre anni prima, vale a dire "Reality bites", del 1994 - tra l'altro esordio alla regia di Ben Stiller - al solito ignominiosamente reso in italiano col titolo "Giovani, carini e disoccupati". Winona nei panni di Lelaina, giovane aspirante videomaker, erra psicologicamente e sentimentalmente alla ricerca di un equilibrio, di un'armonia con se stessa e con gli altri ma e' come se presentisse la sostanziale futilità non della ricerca in se' bensì delle forme che questa potrebbe assumere in un mondo iper-razionale e iper-disciplinato che si fa vanto della sua quasi onnicomprensiva capacita' di anticipazione, ossia di riduzione degli spazi d'imprevedibilita '. Sul filo di un simile orizzonte non appare più casuale allora, anzi, e' del tutto coerente con le precedenti considerazioni, l'atteggiamento della protagonista nella celebre scena del drugstore sulle note di "My Sharona" di The Knack (da molti considerata epitome tra le più significative di quell'epoca): lei, attorniata da altri precoci virgulti hollywoodiani (nel film, in generale, si vedono Ethan Hawke, Steve Zahn, Janeane Garofalo e pure Rene' Zellwegger, oltre allo stesso Stiller), e' quella che si "scompone" di meno. A dire: naturale ritrosia e sopraggiunta consapevolezza si guardano negli occhi e sembrano non piacersi; calcoli (che non tornano) e sacrosante pulsioni legate all'età davvero paiono non riconoscersi. Vale la pena, a questo riguardo, cedere la parola proprio a Coupland, per cercare di rintracciare una volta per tutte il corso sotterraneo di tale corrente psicologica, moto vorticoso che ispira il momento paradossalmente forse più felice dal punto di vista artistico di quest'attrice: "Quello che veramente mi colpiva era il modo in cui i giovanissimi sanno guardare negli occhi, con curiosità... Mi sembrava che quel modo, così innocente di guardare gli altri io l'avessi perduto per sempre e m'ero convint(o) che per i quarant'anni successivi non avrei fatto altro che girare in tondo e vivere la routine quotidiana, come una giovane mummia piena di polvere, che a ogni passo manda un rumore di maracas... Ma la mia crisi non era semplicemente il fallimento di una gioventù, era anche il fallimento di uno stile, del sesso e del futuro e di qualcos'altro ancora che non saprei definire. Ad un certo punto ho cominciato a vedere questo mondo come un mondo in cui la gente va a guardare, per esempio, la Venere di Milo - che non ha le braccia - e comincia a fantasticare di avere rapporti sessuali con un'invalida... Qualsiasi evento per me diventava un presagio, avevo perso la capacita di prendere le cose per quello che erano. Per cui sentivo il bisogno di una pagina bianca su cui nessuno andasse a leggere. Avevo bisogno di isolarmi ancora di più. La mia vita era diventata una successione di eventi accidentali e spaventosi che non volevano saperne di unirsi a creare un racconto interessante..." (D. Coupland, "Generazione X", 1991). Ecco: da questo momento in poi, Winona orbiterà, con ovvi aggiustamenti di rotta, in parallelo a quest'immaginario confine che separa il versante in luce da quello in ombra della rappresentazione e, nel profondo, della vita stessa, materializzando quella "strange brew", quella "strana mescolanza", quello "strano non-so-che" che secondo i Cream che lo hanno eternato cantandolo, dannerebbe chiunque: "She's a witch of trouble in electric blue/In her own mad mind she's in love with you/With you/Now what you gonna do ?/Strange brew... killin' what's inside you".

La sensazione prevalente che caratterizza gli anni successivi e che si acuirà dopo l'inattività forzata dovuta all'"incidente" da Saks, e' quella di un progressivo "scivolare" nei ruoli in modo più o meno convinto e convincente, lasciando cioè che siano quelli ad adattarsi alle giravolte del nuovo "mood" interiore e non viceversa. Calzante ma anodino, allora, quello nello spesso stucchevole "Little women"/"Piccole donne", 1994, dell'australiana Gillian Armstrong che le vale (e non e' escluso proprio per le ragioni qui citate in addebito) la candidatura all'Oscar come migliore attrice protagonista; caparbio e asciutto in "Boys"/id., 1990, di Stacy Cochran, come nell'ennesimo capitolo della saga di "Alien", "Alien: resurrection"/"Alien, la clonazione", 1997, di J- Pierre Jeunet, dove tiene botta al cospetto della "regina-madre" della serie, Sigourney Weaver; impastoiato nei luoghi comuni ("Girls interrupted"/"Ragazze interrotte", 1999, di James Mangold), quando non sommerso dal ridicolo involontario ("Autumn in New York"/"Autunno a New York", 2000, di Joan Chen) o, semplicemente, dall'irrilevanza ("Lost soul"/"La profezia", 2000, di Janusz Kaminski). Smaltita, poi, l'"impresentabilita'", Winona torna ma i suoi sforzi lasciano un segno molto esile negli occhi e nella memoria. Prove come quelle offerte in "The Darwin awards"/"Suicidi accidentali per menti poco evolute", 2006, di Finn Taylor; "A scanner darkly"/"Un oscuro scrutare", 2006, del discontinuo Linklater da un celebre romanzo di P. K. Dick; "The ten"/id., 2007, di David Wain; "Sex and death"/"Tutti i numeri del sesso", 2007, di Daniel Waters; "The informers"/"Vite oltre il limite", 2009, adattato da Easton Ellis sulla base dei suoi racconti e diretto da Greg Jordan, ribadito il non comune magnetismo e la pressoché intatta fotogenia, non vanno al di la' di "aggiustamenti in corso d'opera" di una consuetudine interpretativa per sempre lontana dagli stupori e dalle incertezze trasognate e travagliate della tarda adolescenza e di conseguenza volta alla scoperta delle pieghe nascoste rivelate da un mutato atteggiamento verso la propria esperienza professionale e di donna ormai matura. Scenari che si concreteranno - chissà quanto casualmente - alla soglia dell'età ingrata (i quaranta), nei panni dell'etoile messa da parte dai tempi che cambiano e dai sostituti che premono in "Black swan"/"Il cigno nero", 2010, di Darren Aronofsky. Qui la Ryder - ma lo stesso vale per l'atteggiamento spregiudicato e ricattatorio tenuto nella commedia di Ron Howard "The dilemma"/"Il dilemma", 2011 - lascia libero corso al "lato in ombra" (e con ogni probabilità a buona parte dei demoni che le hanno tenuto compagnia durante i periodi di depressione ed uso continuativo di farmaci) così che l'"acqua cheta" esce allo scoperto e indossa una delle non poche maschere a sua disposizione, quella dell'"erinni". Insofferenza e nausea diventano ora esplicite: alle labbra sottili sfugge una piega. I grandi occhi bruni si stringono sulle rivali - più giovani e con sempre meno scrupoli -; sulle vie di fuga quasi solo insoddisfacenti o artificiose. L'oggi dice che e' proprio su questi varchi di fascino oscuro, di seducente inquietudine, che si affacciano i primi quarant'anni di Winona Ryder, ex miss Horowitz, tanto sempre incantevole quanto sempre elusiva. La "strana mescolanza" s'e' arricchita di altri sapori, insomma, non necessariamente dolci. E il mistero continua.


TFK

1 commento:

nickoftime ha detto...

Indubbiamente Winona è la perfetta icona del cinema dei suoi anni perchè racchiude in se i pregi ed i difetti di quella stagione luccicante ma fragile. Una lungo addio che non ha saputo invecchiare, giungendo fino a noi con uno cera mortifera..certo nei suoi anni migliori la Ryder era incantevole, quasi mai fuori posto e dotata di un'incantevole grazia. La sua carriera assomiglia ad un fiore reciso.

nickodftime