giovedì, agosto 22, 2013
Farewells: ELMORE LEONARD (1925 - 2013)
Anche Elmore Leonard se n'è andato... ... Il primo istinto e' quello di tirarsi su, di non farsi cadere le braccia. Pero' spalle e gomiti sono intorpiditi e anche le dita vanno un po' per conto loro...
Dopo la guerra nel Pacifico, Elmore detto "Dutch" era tornato in patria e aveva studiato letteratura. La penna aveva cominciato ad esercitarla alternativamente sul western (ricordiamo tratti da suoi romanzi o racconti "Quel treno per Yuma" del 1957 di Daves e il remake di Mangold del 2007; "Hombre" del 1967; "Io sono Valdez" del 1971; "Joe Kidd" del 1972, solo per citarne alcuni) e nel campo della pubblicità. Con la cosiddetta "crime fiction" comincio' a fare sul serio a sua stessa detta dopo essere stato notevolmente impressionato da "Gli amici di Eddie Coyle" di Higgins, col quale avrebbe condiviso la medesima passione per un linguaggio in apparenza semplice, quasi brutale nella sua immediatezza, invece ricercatissimo e ampiamente stratificato, frutto al tempo di studio, ricerca e vera e propria "prossimità" (Higgins era stato a lungo procuratore distrettuale e giornalista di cronaca nera; Leonard frequentava numerose persone a contatto in modo diretto o indiretto col crimine, come pure poliziotti di lungo corso); prassi che diede ad entrambi la possibilità di avvalersi di una specie di "termometro costante" dello stato della lingua utilizzata in strada, nei locali, in generale nei sobborghi e nei luoghi malfamati delle città (e che, con ogni probabilità, ha dannato più di una generazione di traduttori).
Oltre mezzo secolo di carriera, quarantacinque romanzi - il quarantaseiesimo era in fieri - un gruzzolo di racconti e uno sguardo partecipe quanto ironico sull'acquario criminale - tanto presuntuoso come spesso e volentieri inetto, pasticcione, un piede dentro e l'altro quasi a mollo nel ridicolo - Leonard per "osmosi" venne a contatto col cinema, a cui ben presto fecero gola le sue storie il cui motore era alimentato da un non comune carburante narrativo in grado di coniugare dialoghi serrati e sarcastici con una serie di eventi, di fatti, in apparenza indipendenti ma sotterraneamente intrecciati fra loro: un'unica, energica corrente di parole al lavoro che con una sua caustica inesorabilità correva sicura verso la conclusione, ora beffarda, a volte imprevista, spesso sic et simpliciter inevitabile: e tutto riducendo ad un minimo meno che sindacale descrizioni e spiegazioni (da "Dutch" additate, a cavallo tra gergo, onomatopea e neologismo, col meraviglioso termine "hoooptedoodle"). Annotiamo qui, senza la pretesa di essere esaustivi, "52 gioca o muori" (1986); "Cat chaser" (1989); "Get shorty" (1995); "Jackie Brown" (1997); "Out of sight" (1998); "The big bounce" (2004); "Be cool" (2005).
Amante del ritmo, delle conversazioni più vere del vero ("If it sounds like writing, I rewrite it", diceva), delle vicende che si dipanano in una continua rincorsa alla dissimulazione per cui e' solo a forza di dettagli che emergono gli stati d'animo, le intenzioni anche dei personaggi più marginali, dal momento che il modo migliore di inserirli nel contesto, sbozzarne le psicologie, eventualmente comprenderli e' "aspettare, vedere come vengono fuori e soprattutto farli parlare" - con occhi grati ma aperti rivolti a Steinbeck e a Hemingway - Elmore Leonard ha finito per tratteggiare una commedia umana in nero spassosissima e antieroica, ammorbidita da una punta d'involontario romanticismo, quindi scalcagnata e irriverente, logorroica e salace, iperattiva e pressoche' sempre destinata allo scacco, proprio come non si stanca di essere tante volte la vita. Ed e' soprattuto per questo che ci mancherà.
TFK
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