Un castello in Italia
di Valeria Bruni Tedeschi
con Valeria Bruni Tedeschi, Filippo Timi, Louise Garrel, Marisa Borini
genere, commedia
Francia,2013
durata,104
Il
cinema come terapia. Frequentatrice compulsiva di fragilità femminili,
Valeria Bruni Tedeschi è stata vittima per lungo tempo del suo stesso
talento, rimanendo incastrata nel clichè della donna con anima costretta a
sopportare le conseguenze di una sensibilità votata alla sofferenza ed
all'insoddisfazione. Una predisposizione che le aveva regalato la
possibilità di recitare con registi importanti-da Patrick Cherau
appena scomparso a Claude Chabrol e senza dimenticare Ozon-che però
l'avevano utilizzata rimanendo all'interno di una maschera drammatica
chiamata ad essere lo specchio di esistenze frustrate dal
male di vivere. La scelta di diventare regista, oltre ad una naturale
evoluzione artistica diventa la medicina per uscire dal guscio,
garantendo l'emancipazione dai vecchi condizionamenti.
"Un
castello in Italia" e' il terzo atto, forse quello più riuscito, di un
romanzo
autobiografico che assomiglia ad una seduta psicanalitica in cui la
Tedeschi mettendo in scena i trascorsi personali e famigliari della
propria vita si esercita sul terreno di una poliedricità di umori e di
motivi narrativi che le sono inediti sul versante attoriale. Questa
volta il punto di partenza e' il castello di Castagneto Po, in Piemonte,
in cui vive
Ludovic (Filippo Timi), il fratello amatissimo e gravemente malato che
vorrebbe evitarne la vendita
per preservare la memoria del padre, un industriale che negli anni 70 -
come abbiamo visto ne "E' più facile per un cammello.." (2003) opera
prima della Tedeschi - aveva deciso
di trasferirsi insieme a moglie e figli a Parigi per sfuggire alla
terrorismo
degli anni di piombo. Dopo la sequenza inziale, immersa nel
biancore irreale e candido di una nevicata invernale che rimanda alla
purezza dell'amore
fraterno tra Louise e Ludovic, il film si prende una pausa da quei
luoghi- vi tornerà per chiudere le fila sul destino dei vari
personaggi- per spostarsi nella capitale francese dove ritroviamo la
donna impegnata nel menage con Nathan (Louise Garrel) un ragazzo più
giovane di lei, ed alla
prese con una gravidanza che non vuole arrivare. Disavventure in cui
l'accompagnano le figure di una vita spesa tra set cinematografici e
conflitti familiari, tra cui spicca la presenza di una madre un pò
ingombrante ma nondimeno indispensabile per garantire gli equilibri
comuni.
La
Tedeschi parte dalla vita ma poi la tradisce con una libertà ed una
leggerezza che costituiscono ad oggi le cose migliori della sua miscela
filmica. Una dichiarazione d'indipendenza evidenziata dall'assegnazione
di nomi fittizi a personaggi che non ne avrebbero bisogno per la quantità
di dettagli che permettono di collegarli ai corrispettivi della vita reale, ma
comunque indicativa di una scrittura che ad ogni film reinventa scenari -
"Actrices" del 2007 prendeva in considerazione il mestiere dell'attore con i
suoi accessori ambientali e comportamentali - e geografie umane -
rispetto al primo film la famiglia di "Valeria" perde una sorella ma
acquista un fratello - "Un castello in Italia" rappresentà una prova di
maturità. Non solo per la padronanza con cui la regista riesce a
mescolare all'interno della stessa scena registri diversi, come avviene
nella sequenza tragicomica della sedia miracolosa a cui Louise vorrebbe
affidare le certezze della prossima maternità e nella quale la Tedeschi
riesce a trasformare le ansie e la paura della protagonista in un
groviglio di mani e di corpi, quelli di Louise attaccata alla sedia,
quelle delle suore che glie lo vorrebbero impedire; stupisce anche il
concentrato di dinamismo, invenzione visuale e bellezza estetica della
inquadrature che compongono l'inserto dedicato al fidanzamento con
Nathan, gestita con una coreografia di movimenti contrapposti (l'unione
si concretizzerà attraverso gestualità ed azioni apparentemente
inconciliabili) che simulano alla
perfezione gli slanci e le contraddizioni di qualsiasi innamoramento.
Malinconico e divertente il film della Tedeschi procede per accumulazione successive grazie ad un montaggio che privilegia accostamenti di tipo emotivo, come quello che introducendo il personaggio di Louise ne circoscrive stato d'animo e provenienza culturale unendo senza soluzione di continuità la sua corsa frenetica e spaesata in un bosco della Francia, il paese d'adozione, alla camminnata affaticata ma felice che la porta in Italia, la terra natia, per abbracciare il fratello. Un'invenzione che consente al film di trovare la propria cifra stilistica ed insieme poetica nell'andamento rapsodico del racconto, nel suo essere contemporaneamente il risultato di esperienze vissute che però si completano accettando la componente ideale che appartiene alle aspirazioni di ogni essere umano e che la regista mette sullo stesso piano degli avvenimenti realmente accaduti. E se qualche volta il puzzle della Tedeschi non riesce ad andare oltre l'aneddotto - ci riferiamo per esempio alle comparsate dell'amico d'infazia che perseguita la famiglia rimproverandogli di averlo abbandonato, oppure al legame nascosto con il padre di Nathan, un regista con la quale Louise aveva lavorato- "Un castello in Italia" riesce a non perdere nulla in termini di delicattezza e d'empatia. Insomma un lavoro ben fatto giustamente premiato con la selezione nel concorso ufficiale dell'ultimo festival di Cannes. Un riconoscimento che per la Tedeschi vale come un premio, o forse di più.
Malinconico e divertente il film della Tedeschi procede per accumulazione successive grazie ad un montaggio che privilegia accostamenti di tipo emotivo, come quello che introducendo il personaggio di Louise ne circoscrive stato d'animo e provenienza culturale unendo senza soluzione di continuità la sua corsa frenetica e spaesata in un bosco della Francia, il paese d'adozione, alla camminnata affaticata ma felice che la porta in Italia, la terra natia, per abbracciare il fratello. Un'invenzione che consente al film di trovare la propria cifra stilistica ed insieme poetica nell'andamento rapsodico del racconto, nel suo essere contemporaneamente il risultato di esperienze vissute che però si completano accettando la componente ideale che appartiene alle aspirazioni di ogni essere umano e che la regista mette sullo stesso piano degli avvenimenti realmente accaduti. E se qualche volta il puzzle della Tedeschi non riesce ad andare oltre l'aneddotto - ci riferiamo per esempio alle comparsate dell'amico d'infazia che perseguita la famiglia rimproverandogli di averlo abbandonato, oppure al legame nascosto con il padre di Nathan, un regista con la quale Louise aveva lavorato- "Un castello in Italia" riesce a non perdere nulla in termini di delicattezza e d'empatia. Insomma un lavoro ben fatto giustamente premiato con la selezione nel concorso ufficiale dell'ultimo festival di Cannes. Un riconoscimento che per la Tedeschi vale come un premio, o forse di più.
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