Ci sono due
modi per giudicare la riuscita di un manifestazione cinematografica: il
primo e' il frutto di un conteggio numerico, e dai dati che emergono nel
resoconto di Marco Müller non c'è dubbio che questa ottava edizione del
festival di Roma sia stata un successo tanto in termini di biglietti
venduti che di affluenza di pubblico. Il secondo invece, relativo alla
bonta' delle opere selezionate, si muove su un terreno reso più incerto
dalle personalità chiamate ad esprimersi, e di conseguenza
suscettibile di opposizioni anche forti come quelle che sono piovute sul
verdetto della giuria capitanata dal regista James Gray. E' fuor di
dubbio che il palmares di questa edizione sia stato a dir poco
sorprendente, con la vittoria assegnata a "Tir", film italiano escluso
da qualsiasi pronostico, e per la scelta di premiare Scarlett Johansson
prestata ad un ruolo che prevedendo l'impiego della voce ed escludendo
il corpo ne amplifica paradossalmente la componente iconica. Ma a
lasciare interdetti è stato la lista dei film rimasti fuori dalla
contesa, mai come quest'anno meritevoli di considerazione. Stiamo
parlando di "Her" di Spike Jonze, per molti il miglior film della
rassegna, degli ottimi "Dallas Buyers Club" e "Out of Furnace", oppure
tornando in Europa, al beniamino della critica, il romeno "Quod Erat
Demostrandum" film in bianco ambientato ai tempi di Ceausescu.
Al di la dei meriti degli uni e degli altri appare più utile soffermarsi su alcune linee di tendenza emerse nella rassegna. Nel concorso il segno più evidente è stata la dialettica tra cinematografie di segno opposto, con il divismo e lo strapotere economico di quella hollywoodiana messa a confronto con un resto del mondo fatto di produzioni low budget ed attori sconosciuti. Da una parte la capacità del cinema americano di saper raccontare con forme di una classicità sempre nuova (vedere "Her" per credere), dall'altra quella di un movimento globale in grado di accorciare le distanze con idee ed immaginazione. Un confronto impari a giudicare dalla ressa scatenata dalle proiezione dei film di Joaquim Phoenix e Matthew McConaughey, solo in parte equilibrata dalla cinefilia e dal culto prodotto da autori come Takashi Mike e Ayoshi Kurosawa.
Il festival è stata anche l'occasione per ammirare interpretazioni di altissimo livello non solo da parte di un tris d'assi - oltre a quelle già citati merita una menzione il Christian Bale di "Out the Furnace, semplicemente straordinario in un personaggio che sembra uscito fuori dalle canzoni di Bruce Springsteen- di cui sentiremo parlare ai prossimi Oscar, ma anche delll'ensemble femminile riunito nell'iraniano "Acrid". Il cinema italiano salvo qualche eccezioni conferma una predilezione per il reale, espressa dalla mole di documentari sparsi nelle varie sezioni, ma anche declinata con ibridazioni che "Tir" nel bene e nel male esprime in maniera esemplare.
Luci ( "Il venditore di medicine" di Antonio Morabito puo essere annoverato tra queste) ed ombre che appartengono al film di Alberto Fasulo ma non solo, perchè la seconda versione del Festival targato Marco Muller pur potendo avvalersi di una possibilità di scelta superiore all'anno scorso per la decadenza del regolamento che prevedeva una competizione di sole anteprime, ha mostrato un miglioramento della qualità complessiva ma non è riuscito sciogliere le contraddizioni di un'identità' a dir poco schizofrenica, divisa su posizioni che strizzano l'occhio al glamour ed allo spettacolo, e nel contempo flirtano con un cinema radicale ed elitario, come dimostra il premio postumo assegnato al capolavoro russo "Hard to Be God", coupe de foudre che ci dicono di un Muller tutt'altro che appannato. Al cinema del festival invece auguriamo uno sbocco nelle sale. Sarebbe una vittoria per tutti, con buona pace dei contestatori di professione.
Film consigliati:
Her di Spike Jonze
Out of Furnace di Scoot Cooper
Dallas Buyers Club di Jean Marc Vallee
Seventh Code di Ayoshi Kurosawa
The Male Song di Mike Takeshi
Quod Erat Demostrandum di Andrei Gruzsnick
Acrid di Kiarash Asadizadeh
Manto Acuifero di Michael Rowen
Il venditore di medicine di Antonio Morabito
Al di la dei meriti degli uni e degli altri appare più utile soffermarsi su alcune linee di tendenza emerse nella rassegna. Nel concorso il segno più evidente è stata la dialettica tra cinematografie di segno opposto, con il divismo e lo strapotere economico di quella hollywoodiana messa a confronto con un resto del mondo fatto di produzioni low budget ed attori sconosciuti. Da una parte la capacità del cinema americano di saper raccontare con forme di una classicità sempre nuova (vedere "Her" per credere), dall'altra quella di un movimento globale in grado di accorciare le distanze con idee ed immaginazione. Un confronto impari a giudicare dalla ressa scatenata dalle proiezione dei film di Joaquim Phoenix e Matthew McConaughey, solo in parte equilibrata dalla cinefilia e dal culto prodotto da autori come Takashi Mike e Ayoshi Kurosawa.
Il festival è stata anche l'occasione per ammirare interpretazioni di altissimo livello non solo da parte di un tris d'assi - oltre a quelle già citati merita una menzione il Christian Bale di "Out the Furnace, semplicemente straordinario in un personaggio che sembra uscito fuori dalle canzoni di Bruce Springsteen- di cui sentiremo parlare ai prossimi Oscar, ma anche delll'ensemble femminile riunito nell'iraniano "Acrid". Il cinema italiano salvo qualche eccezioni conferma una predilezione per il reale, espressa dalla mole di documentari sparsi nelle varie sezioni, ma anche declinata con ibridazioni che "Tir" nel bene e nel male esprime in maniera esemplare.
Luci ( "Il venditore di medicine" di Antonio Morabito puo essere annoverato tra queste) ed ombre che appartengono al film di Alberto Fasulo ma non solo, perchè la seconda versione del Festival targato Marco Muller pur potendo avvalersi di una possibilità di scelta superiore all'anno scorso per la decadenza del regolamento che prevedeva una competizione di sole anteprime, ha mostrato un miglioramento della qualità complessiva ma non è riuscito sciogliere le contraddizioni di un'identità' a dir poco schizofrenica, divisa su posizioni che strizzano l'occhio al glamour ed allo spettacolo, e nel contempo flirtano con un cinema radicale ed elitario, come dimostra il premio postumo assegnato al capolavoro russo "Hard to Be God", coupe de foudre che ci dicono di un Muller tutt'altro che appannato. Al cinema del festival invece auguriamo uno sbocco nelle sale. Sarebbe una vittoria per tutti, con buona pace dei contestatori di professione.
Film consigliati:
Her di Spike Jonze
Out of Furnace di Scoot Cooper
Dallas Buyers Club di Jean Marc Vallee
Seventh Code di Ayoshi Kurosawa
The Male Song di Mike Takeshi
Quod Erat Demostrandum di Andrei Gruzsnick
Acrid di Kiarash Asadizadeh
Manto Acuifero di Michael Rowen
Il venditore di medicine di Antonio Morabito
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