Se
è vero che l'approccio documentaristico, nel cinema contemporaneo, è
ormai quello vincente quando si tratta di "biopic", è altrettanto vero
che in questo contesto Danny Boyle è riuscito a rappresentare
un'eccezione.
Se il vero punto di forza è la
sceneggiatura scritta da Sorkin, la parte visiva ne è l'esatto riflesso
drammaturgico. Non a caso i dialoghi statici e più emozionali vengono
ripresi con inquadrature di quinta - fisse o caratterizzati da
leggerissimi "zoom" o "dolly" - ed alternati poi ai dialoghi in
movimento seguiti per lo più da steadycam frontale (a uno o a due,
spesso inquadrando dal mezzobusto in sù) e da ampie carrellate. Tutto
viene amalgamato in maniera perfetta dalla fase di montaggio, questo
dinamico e preciso, e che si presta all'evoluzione narrative dei tre
grandi blocchi che costituiscono il film. Da non sottovalutare, infine,
la fotografia, funzionale al discorso che facevamo e a mettere ancora
più in risalto i volti e quindi la bravura degli attori, di Fassbender
in particolare.
"Steve Jobs" è, dunque,
l'opera più matura di Boyle - tra le altre cose, abilissimo e nella
scelta della colonna sonora - che dimostra di sapere come e quando far
tacere la propria regia senza lasciare che essa diventi anonima ma
mettendola al servizio dell'opera.
Antonio Romagnoli
1 commento:
mi ispira, come molti altri film fuori in questo momento...
domani vado per Di Caprio, ma da come leggo intorno a me, farei meglio a scegliere, ad esempio, questo...
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