Pawn Sacrifice
di Edward Zwick
con Tobey
Maguire, Liev Schreiber, Lily Rabe, Peter Sarsgaard, Michael Stuhlbarg
Usa, 2015
Genere, drammatico
durata 114’
La storia di Bobby Fischer (Tobey Maguire), uno dei più
grandi scacchisti di ogni tempo, viene colta durante la sfida per il titolo
mondiale svoltosi nell’epocale scontro con il campione sovietico Boris Spassky (Liev
Schreiber) tenutosi a Reykjavík in Islanda nel luglio e agosto del 1972 su 24
partite.
Dirigere un film sul mondo degli scacchi non è un’impresa
facile: un ambiente chiuso ed elitario, crudele psicologicamente, dove per
giocare ad alti livelli bisogna rinunciare a tutto. Uno scacchista ha una vita
dettata dalle 64 caselle della scacchiera che diventa campo di battaglia continua,
sfida contro se stesso e l’avversario. La nascita del gioco degli scacchi si
perde nella notte dei tempi (originatisi in India intorno al VI secolo e
arrivato in Europa intorno all’anno Mille), un gioco che rappresenta lo scontro
cruento dei terreni di battaglia riproducendolo sulla scacchiera. Un modo di
continuare la guerra tra popoli senza spargimenti di sangue, dove si sfidano
intelligenze in strategie e tattiche complessissime: dopo l’apertura, le prime
quattro/cinque mosse, le varianti del gioco possono essere miliardi, quanto le
stelle nella galassia, esemplificativo di quello che una partita di scacchi
possa essere. Un tema ostico per uno spettatore che non sia un appassionato o conosca
un minimo le regole e le dinamiche.
Per questo il regista Edward Zwick sceglie un taglio
psicologico e storico, trasformando lo scontro di Fischer e Spassky come la
continuazione della Guerra Fredda tra Usa e Urss che imperversava in quel determinato
periodo storico. In tutto lo sviluppo diegetico si ripetono richiami allo
scontro politico tra le due superpotenze dell’epoca e Bobby Fischer era l’araldo
solitario contro lo strapotere sovietico nel gioco. Del resto, le varie guerre
che si combattevano nel mondo (a cominciare da quella del Vietnam), la
competizione dell’esplorazione dello Spazio, il confronto sociale tra
capitalismo liberale e socialismo sovietico sono continuate negli scacchi e
Fischer diventa ben presto il campione americano che doveva difendere l’american way of life contro la
minaccia del comunismo. Un mondo chiuso, dicevamo, e infatti, Zwick interpola
la narrazione privata con brevi sequenze, in un montaggio veloce, con gli
accadimenti dell’epoca, scegliendo il formato televisivo, che era esterno alla
vita di Fischer completamente dedito al gioco fin da bambino. Ma è anche la
messa in scena della forza mediatica della televisione che riusciva a
rilanciare e fagocitare qualsiasi notizia ingigantendola. E Fischer, oltre a
esser un geniale scacchista, fu anche il primo che comprese la potenza della
televisione e la popolarità che da essa ne derivava, esigendo e ottenendo
maggiori compensi economici.
Ma oltre a questo, il regista americano, punta molto sulla
rappresentazione del personaggio Fischer, uomo che era affetto da paranoia e da
manie ossessive, che dopo la conquista del titolo mondiale esplosero, portandolo
a una vita da barbone, persino cacciato da quel paese che prima lo osannava e
poi lo costrinse a vivere i suoi ultimi anni in esilio proprio in Islanda (dove
muore il 17 gennaio del 2008), dopo che nel 1992 andò a giocare un torneo in
Jugoslavia sottoposta a embargo e si scontrò con il Dipartimento di Stato Usa
gli aveva proibito di giocare nei paesi Balcanici.
Ma al di là del tema scacchistico, “Pawn Sacrifice” lo si può
leggere come un ritratto sul labile confine tra genialità e follia. Fischer
probabilmente era affetto da una forma di autismo e la sua monomania per gli
scacchi era l’elemento principale dove la sua follia si tramutava in genio.
Tobey Maguire (interprete degli “Spiderman” di Sam Raimi) riesce mirabilmente a
disegnare la complessa personalità del personaggio con un’interpretazione che
rasenta il mimetismo, lavorando non solo sui gesti, ma soprattutto sullo
sguardo, sia verso il mondo esterno sia verso l’universo della scacchiera,
trasformando il corpo attoriale in un’icona dell’uomo solo, dove genialità e
follia convivono.
Edward Zwick (autore di film come “L’ultimo samurai”, “Glory”,
“Vento di passioni”, “Blood Diamond”) si circonda di un cast di eccellenti caratteristi,
una fotografia desaturata di Bradford Young che riesce a ricostruire l’atmosfera
degli anni 60. E partendo da un incipit che mette in scena un Fischer immerso
nella paranoia di essere spiato dai russi, mentre smonta la camera della casa a
Reykjavík, compie un lungo flash back composto da brevi sequenze che raccontano
il cammino del campione americano fin da bambino, quando compie i primi passi
nel mondo degli scacchi, il suo difficile rapporto con la madre e la sorella maggiore
e la sua ascesa al successo, in un montaggio sincopato. Anche la messa in
quadro è funzionale utilizzando primi piani distorsivi o dettagli del volto e
del corpo del protagonista per comunicare allo spettatore la follia che il
giocatore viveva.
Un film, insomma, che può interessare un pubblico generalista,
non necessariamente esperto (anche perché alla fine il gioco degli scacchi
diviene un pretesto per raccontare altro) e la sequenza finale, dove sono
montate delle immagini del vero Bobby Fischer invecchiato, si può collegare
idealmente al bellissimo documentario “Bobby Fischer Against The World” di Liz
Garbus, per chi volesse approfondire la vita di uno dei più grandi e geniali giocatori
della storia millenaria dell’affascinante e immortale gioco degli scacchi.
Antonio Pettierre
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