venerdì, gennaio 08, 2016

LITTLE SISTER

Little Sister
di Hirokazu Kore-eda
con Masami Nagasawa, Kaho, Suzu Hirose

Giappone 2015 
genere, drammatico
durata, 128'




Rassegnati - e, per molti aspetti, sollevati, si potrebbe dire - di fronte alla pressochè totale distruzione di un mondo emotivo/sentimentale che pure ci è appartenuto; quasi del tutto dimentichi della sua complessità e ricchezza nell'assunzione delle pose standard di un benessere che di quel mondo - per quanto si agiti - non può che rappresentarne il vago scimmiottamento, osserviamo con un qual infastidito stupore lo svolgersi più recente dell'opera di un autore come Kore-eda, impegnato da qualche tempo nella registrazione puntuale delle variazioni man mano occorse nella sua personale educazione sentimentale ai tempi dell'aridità di massa.

Un occhio a Ozu e ai suoi personaggi appartenenti a nuclei familiari in problematico equilibrio fra tradizione e contemporaneità, secolare etica del sacrificio ed adesione a canoni severi di pudicizia e compostezza; l'altro, di quando in quando, memore degli slanci truffautiani spesi nel restituire l'ingenuità e i fugaci incanti dell'infanzia, il regista di Tokyo ci conduce stavolta, sulla scorta di un oramai consolidato alto formalismo nei suoi momenti più felici al limite di un'astrazione discreta, sospesa tra semplicità e rigore (movimenti impercettibili della mdp; tregue improvvise a suggerire un tessuto narrativo/iconografico fondamentalmente incline a rappresentare uno sforzo comune di comprensione: composizione pittorica di talune inquadrature - la breve sequenza in costume nel giardino avito autorizza reminescenze assimilabili all'idea di silenziose ukiyo-e in movimento -), a Kamakura, una cinquantina di chilometri a Sud-Ovest di Tokyo, dove, in una vecchia e grande casa, convivono le sorelle Koda - Sachi/Ayase H., la maggiore, seria, ritrosa e responsabile; Yoshino/Nagasawa M., estroversa e incostante, amante dell'alcool e pronta ad ubriacarsi "ogni volta che un ragazzo la lascia"; e Chika/Kaho, gentile e naif, sempre sorridente e pronta allo stupore: ognuna, come che sia, con una sua dolcezza, premura e allegria particolare - alle quali si aggiunge, sorta di estremo lascito paterno all'indomani della dipartita, l'appena adolescente Asano/Hirose S. (la "sorellina" del titolo), frutto di un'altra relazione, che, ben presto, va ad ingrossare le fila del "dormitorio femminile" apportandovi, oltre ad una dose supplementare di buonumore e cortesia, le incognite implicite legate al suo innesto in un esperimento di coabitazione collaudato dagli anni e dalla consuetudine, nonché marchiato dalla mai risolta incomprensione che divide, con sfumature diverse - di fondo, più intransigente Sachi; più comprensive Yoshino e Chika - le tre donne dalla madre, proprietaria di fatto della casa e da tempo con una vita propria altrove.
Sceneggiato dallo stesso Kore-eda a partire da un manga di Akimi Y., "Umimachi diary", l'azione si snoda mantenendo del manga una certa libertà compositiva e la consequenzialità diretta di molti snodi - attraverso le stazioni di eventi più o meno rituali o ritualizzati: cerimonie funebri, anniversari, visite reciproche di cortesia e non, inviti, appuntamenti sportivi, et. - secondo il movimento impartito dalle agnizioni/frizioni attribuibili alla prossimità fra il nucleo storico della famiglia Koda e la nuova arrivata, con il corollario di progressive rivelazioni circa un passato comune nelle implicazioni sul presente ma per la gran parte costruito nelle premesse a partire da direttrici imposte da una lontananza sia geografica che spirituale. L'esemplarità e l'insidiosa anomalia dello sguardo umanista di Kore-eda, reso vieppiù intenso dall'intercalare pianistico di Kanno Y. - e che si caratterizza, certo, anche per parentesi leziose; per impuntature puerili giocate sul filo della schermaglia dialettica e del risolino riparatore; per asprezze a lungo trattenute, silenzi passeggeri ma allusivi: gli uni e gli altri, quasi fatalmente a rincorrersi e a confluire nei numerosi intermezzi culinari che punteggiano l'opera a mo' di sottolineatura eversiva di un gesto, quello di nutrirsi insieme, del convivio, cioè (dal lat. "convivium", der. da "convivere", ossia "vivere insieme"), durante il quale, al cospetto di cibi, salse, condimenti e bevande, si discute, si ride, si straparla, si tace: ci si conosce, insomma e si "vive insieme", appunto - in fondo sta tutto e proprio nella chiarezza con cui l'autore sostiene l'assunto per cui, da un lato, la relativa lentezza di una vita provinciale, il suo ruotare attorno ad una possibilità concreta - per quanto fragile - di poter disporre-del-proprio-tempo, resta una delle ultime carte da giocare al tavolo sempre più deserto delle relazioni e, in generale, di ciò che eravamo adusi ad indicare con il termine di comunità (per di più in frontale antitesi agli apparenti bagliori della libertà statistica metropolitana, la cui dispersione e precarietà intrinseca di ogni rapporto la propaganda della modernità s'è affrettata a ribattezzare, nel tentativo, più disperato che lucido, di disinnescarne le molteplici contraddizioni, liquidità); 


dall'altro, nonostante gli strappi, i passi indietro e le ovvie resistenze (in "Little sister" lo schema genetico della repressione delle emozioni e della distanza dei corpi si spezza solo in extremis - ma si spezza - esattamente quando ciò che è indecente diventa immolare l'indiscutibilità di un legame umano alle rigidità formali dei protocolli sociali e dei codici-trappola), s'impone, con una necessità tanto elementare quanto arcaica, la scelta (e la difficoltà) d'isolare comunque quelle sparute cose che tengono insieme le esistenze dei singoli - gli affetti, in primis, dice Kore-eda - e con pazienza trovare il proprio posto all'interno del loro cangiante ordine, il quale, nella prospettiva di un'eternità praticabile, si sacralizza, giocando d'anticipo persino e per quel tanto sull'inevitabile dissoluzione, fino ad aprire la coscienza alla considerazione dell'unico tempo che ha senso: quello in cui si riesce a rendersi conto di vivere.
TFK

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