All’ultimo voto (Our Brand
Is Crisis)
di David
Gordon Green
con Sandra Bullock, Billy Bob Thornton, Joaquim
de Almeida
Usa, 2015
genere commedia, drammatico
durata 108’
Jane Bodine (Sandra Bullock), soprannominata “Calamity” per
il suo carattere aggressivo, è una famosa “spin doctor”, stratega di campagne
elettorali di politici americani, che dopo diverse sconfitte e scandali, in cui
è stata coinvolta per il lavoro “sporco” effettuato, caduta in disgrazia, si è
ritirata in mezzo alle montagne. Viene recuperata dalla squadra per la campagna
elettorale per la presidenza boliviana, dalla parte del candidato Pedro
Castillo (Joaquim de Almeida) in grave crisi di popolarità e con scarso
successo nei sondaggi. Bodine non ha nessuna voglia di ritornare nell’agone
politico, ma accetta quando le rivelano che a guidare la compagine dell’avversario
più popolare è Pat Candy (Billy Bob Thorton) acerrimo rivale causa delle sue
ultime sconfitte.
Questa è la fabula in sintesi dell’ultimo film di David
Gordon Green (ancora inedito in Italia), giovane autore, tra l’altro, di un
pregevole dramma “Joe”, ma conosciuto più che altro per commedie non proprio
riuscite. Green trasporta i meccanismi delle campagne elettorali americane in
Bolivia, con la messa in scena della strategia fatta di un utilizzo di tutti i
mezzi di comunicazione, di sgambetti e scortesie professionali, di preparazione
del personaggio e del messaggio politico elettorale (che cinicamente sono solo
promesse per riuscire a raccogliere più consensi possibili, ma che dopo le
elezioni non si trasformano mai in fatti), di sotterfugi e calunnie costruite
ad arte per mettere in difficoltà gli avversari. La campagna elettorale con l’elezione
diretta diventa una vera e propria “guerra” fatta di parole e messaggi, dove l’unico
scopo è vincere, senza farsi scrupoli morali o pensare di essere nel giusto.
Del resto, Castillo è un uomo al soldo del Fondo Monetario Internazionale e dei
poteri finanziari statunitensi, conservatore, con un’idea paternalistica del suo
popolo che, inconsciamente, non ama (e da cui non è amato), già presidente nel
passato, ma l’intervento della Bodine, che basa tutta la campagna sul messaggio
“di una crisi” che la Bolivia deve affrontare e, quindi, sulla paura, mentre il
suo avversario populista in qualche modo “vende” una nuova speranza per un
futuro per un paese povero che vuole liberarsi dalle ingerenze straniere,
risolleveranno le sorti di una competizione che sembrava finita per Castillo.
Un tema di grande attualità, dove l’onestà politica è del
tutto assente e la lotta si trasforma solo nella conquista del potere basato
sul denaro e gli interessi economici internazionali.
La Bodine vende un
prodotto, un “brand”, al meglio delle sue capacità (così come il René Saavedra
nel capolavoro di Pablo Larrain “NO – I giorni dell’arcobaleno”). Sostenuto da
una sceneggiatura debole e meccanica, il film non scende mai in profondità dei
temi trattati, ma intacca appena la superficie dei problemi della società
boliviana. Così alla fine anche il
confronto tra Bodine e il suo alter ego Candy si trasforma più in una
scaramuccia da commedia, con gli attori che non riescono mai a dare uno
spessore credibile ai due personaggi: Sandra Bullock è stranamente sottotono,
con uno sguardo quasi assente, anche nei momenti più drammatici dello scontro;
Billy Bob Thorton, invece, è molto trattenuto e più che un personaggio
mefistofelico (con l’ironico cognome di “Candy”) appare un arrogante
sprovveduto. E se siamo lontani dalla
verosimile drammaticità di un “Le idi di marzo” di e con George Clooney, c’è
anche una distanza abissale per il ritmo e la messa in quadro di un’altra opera
a cui si ispira “All’ultimo voto” come “Power – Potere” di Sidney Lumet con un
Richard Gere che ben rappresentava questo tipo di attività fornendo una
dimensione competitiva e iperattiva del personaggio in un mondo privo di
scrupoli. E abbiamo citato i film più famosi che affrontano le stesse
tematiche.
Non basta, quindi, che durante lo sviluppo del film appaia la
classifica dei candidati con le percentuali di voti che mostrano la continua
ascesa di Castillo a ogni intervento della Bodine per dare ritmo a una pellicola
che a tratti è poco dinamica; non basta l’ambientazione sudamericana, una
Bolivia descritta per luoghi comuni e da cartolina, per creare tensione e
drammaticità. E anche il finale è alquanto inverosimile, con un forzato happy
end per rendere simpatico un personaggio che non può esserlo, ma solo per
salvaguardare l’immagine positiva di una star come la Bullock che gli
spettatori non possono identificare in un ruolo negativo. Quindi la redenzione
è obbligatoria, ma non per il film che scorre mediocremente senza alcun acuto,
scivolando verso una visione che sostanzialmente non danneggia nessuno.
Antonio Pettierre
Nessun commento:
Posta un commento