Cell
di Tom Williams
con John Cusack, Samuel Lee Jackson, Stacey Keach
Usa, 2016
genere, horror
durata, 98'
Si
ha voglia a dire che i nomi apposti sulla locandina di un film non
siano tutto e che per apprezzare i risultati di una determinata opera
risulti indispensabile l'esperienza della visione filmica.
Ciononostante, capita di
frequente che a spingerci in sala non sia tanto la bontà del progetto
quanto la
qualità dei nomi che quello porta con sé. Se prendiamo un titolo come
“Cell”, il nuovo film di Tod Williams in uscita nei cinema italiani, è fuor di dubbio che in fase di
approccio a fare la differenza rispetto al resto dell'offerta non sia la trama, ricavata mettendo insieme in una sorta di
medley narrativo e anche visuale le diverse evoluzioni dello zombie
movie così come abbiamo imparato a conoscerlo all’indomani dell’11
settembre, e quindi comprensivo delle varianti che hanno di molto
migliorato le capacità cognitive e di locomozione dei famigerati non
morti. Perché, ove si escludano i minuti iniziali in cui apprendiamo che
la pandemia
ha origine dalle trasmissione delle onde magnetiche prodotte dai
moderni cellulari ciò che segue, e cioè il tentativo di sopravvivere
alla catastrofe da parte di un gruppo di coraggiosi capeggiato
dall’artista Clyde Riddel e dal macchinista di treni Tom Court così
come l’on the road scaturito dalla necessità di spostarsi attraverso il
paese per unirsi a ciò che resta del consesso umano, altro non è che il
remake di episodi oltremodo frequentati dalla settima arte e pure dalla
televisione (Walking dead).
Diversamente,
la presenza di due attori come John Cusack (Riddel) e Samuel Lee
Jackson (Court) dopo “1408”, ancora una volta insieme sullo schermo e
poi quella del grande Stephen King chiamato a sceneggiare l’omonimo
libro da lui scritto nel 2006, costituisce un valore a cui difficilmente
l’appassionato riesce a resistere. La fiducia dello spettatore viene ripagata però solo in
parte perchè se la coppia protagonista si dimostra all’altezza del
compito – specialmente Jackson capace di dare carisma a un personaggio
che non c’è - non altrettanto si può dire per la costruzione della
dimensione favolistica della storia, la quale per ravvivare un percorso
parecchio scontato inserisce senza svilupparle reminescenze varie,
prelevate dai romanzi dello stesso King (come quella della scrittura
capace di materializzare i suoi fantasmi) oppure riferite a mo' di
metafora a uno stile di vita – dominato dal mezzo tecnologico - che
rende disumani, per arrivare a parlare delle conseguenze di un
proselitismo religioso capace di annichilire la volontà degli uomini in
una maniera – quella mostrata nella sequenza finale del grande raduno –
che sembra alludere a liturgie e riti di cultura islamica. Relegando le
sorprese alla morte inaspettata di qualche figura di contorno “Cell” arriva alla conclusione in
maniera meccanica eliminando quell'anarchia che invece ci si
aspetterebbe da un produzione indipendente come quella diretto con scolastica diligenza dal nostro regista.
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