giovedì, gennaio 24, 2008

American Gangster

Harlem 1968. Frank Lucas: nero, affascinante, è la guardia del corpo di un anziano boss che gestisce il quartiere con metodi vecchio stampo, ascolta le preghiere della gente di Harlem e regala tacchini il giorno del ringraziamento.
Richie Roberts: bianco, ebreo, laureato, sbirro, vita coniugale incasinata e da la caccia ai malavitosi.
Alla morte (naturale) del vecchio padrino, Frank Lucas rompe gli indugi, elimina i vecchi modi di fare e in pochi anni diventa l'indiscusso Re dell'eroina, andandosi a rifornire, a prezzi stracciati, direttamente in Vietnam con la complicità di soldati usa impegnati nel conflitto.

Anche questa volta Ridley Scott ci racconta la storia di 2 antagonisti come ha già fatto ne I DUELLANTI e ne IL GLADIATORE.
Oltre ai capi ci sono anche gli eserciti; lo spacciatore Lucas a capo della sua banda e supportato da un buon numero di poliziotti corrotti (sublime Josh Brolin), Roberts a capo dei giusti, duri e puri.
Tentativo di cinema d'intrattenimento colto, sullo sfondo la guerra del Vietnam con tutti gli interessi che ruotano intorno al conflitto, interessi politici e criminali che muovono fiumi di dollari.
Peccato che la vita del ghetto, la vita squallida dei tossici "duri", la povertà, al pari della guerra del Vietnam, rimangano sullo sfondo e vengano solo sfiorati da R. Scott.
Ad eccezione dei protagonisti, tutto è abbozzato e il film si riduce a semplice cronaca che non emoziona, seppur meravigliosamente rappresentata.
Bella fotografia con cambio di colore a seconda del periodo storico, tempi scanditi da una efficace colonna sonora.
Ridley Scott da il meglio di se nel finale evidenziando quanto ci viene raccontato parallelamente al plot principale. Il rincorrersi e superarsi delle generazioni, il nuovo e il vecchio, Frank Lucas che sostituisce il suo vecchio boss aspettandone la morte naturale, mentre dopo "soli" 15 anni di galera (siamo all'inizio dei '90) una volta fuori è un uomo "criminalmente vecchio" che viene subito "aggredito" dalla nuova generazione criminale che si presenta allo spettatore nelle vesti della colonna sonora hip hop.
Frank Lucas è di nuovo nell'arena, come Maximus ne IL GLADIATORE, ma tutto ci fa pensare che questa volta sarà sbranato.
Fotogramma finale di eccezionale bellezza.
(Fabrizio Luperto)

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ridley Scott è l’autore di alcuni capolavori (The Challange, Alien, Blade Runner, I signori della truffa) e di una serie di altri film, a cui “American gangster” appartiene, che sono il frutto di un professionalità al servizio delle grandi produzioni. Un “Autore di ventura” che si cimenta nel cinema di genere con la disinvoltura di chi non crede ai suoi poteri taumaturgici e preferisce godersi lo spettacolo, allestendo giardini d’infanzia, dove il demiurgo/narratore accompagna il bambino spettatore sulla strada dell’omnicomprensione. Un produttore come Brian Glazer (A Beautiful mind, Cinderella man) che confeziona spettacoli d’autore, calandosi nelle aspettative di una mente che si nutre di curiosità da rotocalco e sapere enciclopedico, e gli organizza un tranquillo week end di paura a lieto fine, a base di star hollywoodiane e storie fotocopia, in cui il motivo estetico prevale sui viaggio al termine della notte. La santa alleanza fra regista e produttore dà vita al solito filmone dove i Gangster sono sempre in buona fede e gli sbirri come Crowe, sempre più simile ad una versione riveduta e corretta di Sylvester Stallone, hanno l’asso da gettare sull’indagine scommessa. L’america è di tutti e di nessuno, una zona di guerre infinite e mai dichiarate, più cruente di quelle politiche e mediatiche perché l’avversario da combattere siamo noi e l’unico antidoto è il sogno americano inacidito dall’integralismo del successo. Si sente la mano di Glazer nella struttura filmica che appare, rispetto ai “ritmi action” del regista , quasi ferma, distesa e più votata alla ricostruzione delle situazioni che non sono mai svincolate dal momento contingente. Il periodo storico (il decennio a cavallo tra i 60 e 70) deflagra sullo schermo con un tripudio di suoni e di colori (caldi e virati al passato nella prima parte, plumbei ed asettici nella seconda, dove la resa dei conti finale è enfatizzata da un movimento di macchina che sembra lo spasmo di un corpo senza vita) ed appare, grazie alla fotografia Zodiacale di Savides, funzionale alla materiale narrativo. Le strade periferiche, dove la lotta per la vita chiede il conto in maniera più evidente, gli Slum dei quartieri dormitorio, latrine a cielo aperto per esseri umani che sembrano strisciare, così come il confronto tra i metodi, quello di Washington moderno e razionale, quello di Crowe, impressionista e debordante, si ispirano in maniera evidente ad un capodopera come The French connection di W Friedkin (la cui visione si consiglia caldamente) mentre il duello allo specchio (e solo quello) dei due antagonisti, rimanda, nella sua struttura binaria ad Heat di Mann. Purtroppo il paragone risulta impari perché il film si mantiene con “coscienza” sulla superficie delle cose, preferendo una forma che parla agli occhi ma non al cuore, affascinando con un divismo che si oppone ala veridicità della storia, (la forza dell’anti-eroe friedkiniano derivava da una presenza attoriale non avulsa dall’ordinario della gente comune) e finisce per annullare il bagaglio emotivo/esistenziale dell’uomo che non vuol credere al mito di Sisifo.
nickoftime

Edo ha detto...

Per me è insufficiente. è un esercizio di stile privo d'emozione...

Anonimo ha detto...

Si sono d'accordo..daltronde il cinema contemporaneo sembra aver sposato questo tipo di formalismo a discapito delle emozioni che molti registi sembrano quasi considerare un difetto...come se le urgenze scaturissero dalla testa e non dalla pancia...per fortuna poi ci sono film come Into the wild...l'hai visto? che ti riconciliano con il grandissimo schermo...
ciao edo

Noodles ha detto...

Anche secondo me Scott si lascia troppe cose dietro, troppe cose non approfondite. Prende giusto il materiale più "facile" della storia e imbastisce un film di poliziotto-contro-gangster, non brutto certo, ma un po' freddino e dall'esecuzione un po' automatica.

Anonimo ha detto...

Ciao Nodles...Concordo su tutta la linea