BRIGHT STAR
regia: J. Campion
Innamorarsi senza neanche accorgersi di farlo: dimenticare questa parola per lasciarsi trasportare dalle sue conseguenze: impronunciabili, come l’ebbrezza disegnata sullo sguardo senza tempo, che si affaccia sugli abissi della sublime perdizione. Una malìa irresistibile eppure differita dall’attesa di quell’unione impossibile: un poeta malato di tisi ed una giovinetta che poco prima si adagiava sulle infinite prospettive di una felicità appena sbocciata. Tra di loro una società incapace di comprendere e la cerchia di amici che vorrebbe preservarli da un dolore inevitabile. E poi la poesia, lontana dai circoli accademici e dalle espressioni indefinite, ma piuttosto un modo per riuscire a comprendere e sublimare un esperienza arrivata troppo presto o, forse, troppo tardi.
La ballata di John Keats e Fanny Brown ha il sapore delle storie universali ed allo stesso tempo si mantiene concreta nella ricostruzione che ne fa la regista neozelandese. Nella campagna inglese i due giovani si muovono sulle punte dei piedi eppure il loro amore ha il rumore di un esercito in battaglia: una dicotomia che la Campion riesce a rappresentare attraverso un controllo emotivo della telecamera, capace di annullare la sua presenza, per lasciare spazio alla naturale alchimia dei suoi attori, e poi ripresentandosi con scelte che sembrano testimoniare il contrario, e che si traducono nell’insistenza dei corpi all’interno di spazi limitati, incorniciati dentro lo stipite di una porta o nel quadro di una finestra, quasi a ribadirne l’eterna costrizione, oppure alla maniera di Hopper, amplificando la solitudine di una promessa che tarda ad arrivare, attraverso la visione contemporanea del dentro e fuori, degli spazi della ragione e di quelli dell’istinto. Una ricerca di equilibrio che porta avanti la storia ed insieme ci regala l’inneffabile presente in una folata di vento improvvisa o nella gocce di pioggia sul volto smarrito degli amanti.
Oltre a questo due attori retrocessi a principianti e pronti a recitare con le armi della vita.
(pubblicato su Ondacinema.it)
regia: J. Campion
Innamorarsi senza neanche accorgersi di farlo: dimenticare questa parola per lasciarsi trasportare dalle sue conseguenze: impronunciabili, come l’ebbrezza disegnata sullo sguardo senza tempo, che si affaccia sugli abissi della sublime perdizione. Una malìa irresistibile eppure differita dall’attesa di quell’unione impossibile: un poeta malato di tisi ed una giovinetta che poco prima si adagiava sulle infinite prospettive di una felicità appena sbocciata. Tra di loro una società incapace di comprendere e la cerchia di amici che vorrebbe preservarli da un dolore inevitabile. E poi la poesia, lontana dai circoli accademici e dalle espressioni indefinite, ma piuttosto un modo per riuscire a comprendere e sublimare un esperienza arrivata troppo presto o, forse, troppo tardi.
La ballata di John Keats e Fanny Brown ha il sapore delle storie universali ed allo stesso tempo si mantiene concreta nella ricostruzione che ne fa la regista neozelandese. Nella campagna inglese i due giovani si muovono sulle punte dei piedi eppure il loro amore ha il rumore di un esercito in battaglia: una dicotomia che la Campion riesce a rappresentare attraverso un controllo emotivo della telecamera, capace di annullare la sua presenza, per lasciare spazio alla naturale alchimia dei suoi attori, e poi ripresentandosi con scelte che sembrano testimoniare il contrario, e che si traducono nell’insistenza dei corpi all’interno di spazi limitati, incorniciati dentro lo stipite di una porta o nel quadro di una finestra, quasi a ribadirne l’eterna costrizione, oppure alla maniera di Hopper, amplificando la solitudine di una promessa che tarda ad arrivare, attraverso la visione contemporanea del dentro e fuori, degli spazi della ragione e di quelli dell’istinto. Una ricerca di equilibrio che porta avanti la storia ed insieme ci regala l’inneffabile presente in una folata di vento improvvisa o nella gocce di pioggia sul volto smarrito degli amanti.
Oltre a questo due attori retrocessi a principianti e pronti a recitare con le armi della vita.
(pubblicato su Ondacinema.it)
2 commenti:
Io l'ho trovato noiosissimo! :-(
io, invece, uno dei film più belli dell'anno: insieme al Segreto dei suoi occhi è in cima alle mie preferenze.
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