domenica, ottobre 27, 2013

DOWN IN THE VALLEY


"Down in the valley"/id.
di: D.Jacobson
con: con: E.Norton, D.Morse, E.R.Wood, R.Caulkin, B.Dern
- USA 2005 -
Drammatico - 115 min

Vivere oggi significa anche - se non soprattutto - misurarsi con la solitudine e con un'indefinita eppure persistente aura di follia che circonda persone e cose. "Down in the valley" - presentato al 58mo Festival di Cannes nella sezione 'Un certain regard' - racconta, contrapponendoli fino a farli deflagrare, il senso di abbandono e quel tanto di sconsideratezza presenti in due uomini qualunque: il primo, rassegnato a contenerli entrambe servendosi dello stoicismo assorbito in anni di permanenza sotto le armi, e puntando sulla famiglia per quanto la stessa produca tutto tranne che un equilibrio stabile; il secondo, testardamente e "ingenuamente" convinto che l'orologio del mondo possa ancora essere caricato all'indietro o perlomeno bloccato su un presente il meno conflittuale possibile, in cui l'amore sia in grado di fare davvero argine a tutto. Felice, allora - in tal chiave antagonistica - la scelta d'inserire la vicenda entro una cornice "western" (quella di un'aspra e selvatica San Fernando Valley, complice nel riverberare le suggestioni del genere filtrate nella contemporaneità sotto forma di sfida al paesaggio circostante sfigurato dagli eccessi irrefrenabili della Modernità, da un lato, e resa dei conti con un "Io" lacerato dalla desolazione e dall'irrequietezza, dall'altro), ossia quanto di più americano, al di la' delle mode, struggente, foriero di contraddizioni e disastri, si possa immaginare.

Un cow-boy fuori tempo massimo - passato oscuro e presente improbabile - (un Norton sempre puntuale ma su cui con altrettanta sollecitudine si addensano le ombre di quel manierismo d'alta scuola che ha appesantito molte carriere, non solo hollywoodiane) s'innamora ricambiato di una ragazzina difficile (la E.R.Wood di "Thirteen", pelle bianchissima, occhi assassini e umore quasi sempre sotto i tacchi) e al tempo prova ad educare da par suo il fratello minore di lei, bambino senza madre, taciturno ma vigile, condannato a crescere in fretta (un altro prodotto della nidiata Caulkin, questo - Rory, nel caso - piuttosto convincente). Le cose filano fin quando l'intervento del padre (D.Morse in un riuscito concentrato di forza e impotenza), la volubilità della ragazzina e alcune derive anticonformiste del cow-boy non collidono tra loro, preparando il campo all'inevitabile tragedia. Girato con mestiere e mano sciolta, tra romanzo di formazione e incursioni nel melodramma, immerso in una bellissima luce diffusa - morbida e "afflitta" - che esalta ma "allontana" i paesaggi e i corpi, come se tutto fosse già avvenuto chissà quante volte nello stesso penoso modo e fosse destinato a ripetersi in un eterno ritorno senza scampo, il film tratteggia i personaggi - in specie il cow-boy e la ragazzina - mentre provano a sottrarsi ad una realtà uniforme di villette prefabbricate, mobilio dozzinale, "highways" intasate e false scappatoie, seguendo il percorso casuale e gratuito dei ribelli "innocenti" della "Rabbia giovane" di Malick (non a caso il nome, benché falso, usato da Norton e' Carruthers, lo stesso di M.Sheen nell'opera di trenta e passa anni prima) più che le ipotetiche gesta fin troppo esemplari e maldestramente assertive di innumerevoli eroi problematici/negativi che il cinema americano ha sfornato almeno da Dean in poi.

Si amano teneramente, i due; si scambiano promesse impossibili. Lui, alle strette, s'inventa una fuga insensata. Lei e' allettata ma recalcitra. Si dividono, si tormentano: non sanno cosa fare. In mezzo, il fratello li osserva e nel silenzio tratteggia i confini della propria futura emarginazione psicologica e morale. Di lato, il padre - certo adesso che i pochi affetti che possiede, per quanto controversi, siano l'unico mezzo per tornare a sperare - decide di finirla con le intrusioni di un "pazzo", oramai sempre più simile agli spostati violenti loro malgrado di molte storie di McCarthy. Così - il linguaggio sempre asciutto, disadorno - ecco che il cow- boy (nella sequenza più delicata e "assurda" del film), asseconda l'inerzia cieca di un istante e innesca il caos, un caos che, coerente alle premesse, non ha niente d'imprevisto o d'illogico ma s'impone senza sforzo come uno dei tanti squarci possibili che possono aprirsi su qualcosa di ben più profondo e definitivo. Sorvolando su alcune cadute di tono (la scena al limite del caricaturale in cui Norton ricalca il delirio solipsistico del De Niro di "Taxi Driver"), certi momenti telefonati (l'anticipazione della resa dei conti sul set di un film western), "Down in the valley" mantiene saldo dall'inizio alla fine il suo nucleo amaro e malinconico fatto di romanticismo e fatalismo, il suo approccio sincero e non conciliante all'avventura umana, il suo tono di elegia dimessa scientemente votata al fallimento.

Da groppo alla gola la colonna sonora di Peter Salett.

TFK

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