Belluscone- Una storia siciliana
di Franco Maresco
Italia, 2014
genere, documentario
durata, 94'
Affermare che nel cinema ci sono film più importanti di altri potrebbe apparire retorico se non superfluo. Ciò non toglie che il ritorno sugli schermi di Franco Maresco non è cosa da poco. A dirlo e' la personalità dell'uomo, raramente rintracciabile nei gironi delle consorterie e dei salotti che contano ma soprattutto una filmografia così fuori dagli schemi da riuscire nell'intento di scomodare i vertici del sistema, pronti a reagire con anatemi e scomuniche all'intransigenza del regista siciliano. Oltre a questo il fatto che "Belluscone, una storia siciliana " rappresenta anche la prima volta (ove si escluda "Tony Scott..") di Maresco senza Daniele Ciprì, il sodale di sempre, nel frattempo affermatosi come uno dei migliori direttori della fotografia, ed autore egli stesso di due film dalle alterne fortune.
Ma la scelta di legare tale progetto alla figura politica italiana più significativa degli ultimi 20 anni non e' casuale, perché il cavaliere oltre ad essere un animale politico di prima fascia, rappresenta anche lo zenith di una materia cinematografica che, per forza di cose, e seppur indirettamente, con lui ha dovuto confrontarsi. Com'è accaduto a Maresco quando si è trattato, per esempio, di considerare le conseguenze antropologiche e sociali del suo operato attraverso le istantanee grottesche e dissacranti di "Cinico Tv", contraltare brutto sporco e cattivo di un paese abituato a deformità di senso opposto.
In questo caso però Berlusconi, seppur apertamente citato con immagini di repertorio o attraverso il resoconto di chi lo ha conosciuto da vicino (Marcello Dell'Utri) appare piuttosto come un falso scopo, necessario a catalizzare l'attenzione dei media ma soprattutto a tenere insieme in maniera organica i frammenti di un discorso altrimenti impossibile da contenere per la frammentazione del tessuto narrativo. E invece, partendo dalla figura dell'illustre politico, e dalla città, Palermo, che meglio ne rappresenta il consenso elettorale in terra di Sicilia, Maresco ci conduce alla scoperta di una serie di figure umane che sembrano la quintessenza di una mentalità tutta italiana, con "ammuine", malaffare e molto opportunismo, mirabilmente sintetizzati dall'impresario di cantanti neomelodici Ciccio Mira, antesignano dell'Enzo Castagna di "Enzo, domani a Palermo", film a cui almeno nella struttura narrativa e nel rapporto tra realtà e finzione "Belluscone, una storia siciliana" deve molto.
Ed è proprio la natura tragicomica di quest'ultimo personaggio - peraltro realmente esistente-, alla pari di quella degli improbabili cantanti, maldestramente sospesa tra legalità e malaffare, a creare il cortocircuito con il modello berlusconiano, altrettanto pittoresco e surreale, e quindi, e qui sta il punto, compromesso con il tessuto psicologico e sociale di cui è riferimento. Ci sarebbe poi da parlare della forma mockumentary del film, del significato ultimo di una vicenda che in fondo racconta di una pellicola mai conclusa, e che per questo diventa la testimonianza della precarietà che da sempre accompagna il percorso artistico ed esistenziale dell'autore siciliano. A testimonianza di un'opera al tempo stesso complessa ma diretta, che ha avuto l'onere di rappresentare il nostro cinema all'ultima edizione del festival di Venezia, dove è stata selezionata nel concorso ufficiale.
di Franco Maresco
Italia, 2014
genere, documentario
durata, 94'
Affermare che nel cinema ci sono film più importanti di altri potrebbe apparire retorico se non superfluo. Ciò non toglie che il ritorno sugli schermi di Franco Maresco non è cosa da poco. A dirlo e' la personalità dell'uomo, raramente rintracciabile nei gironi delle consorterie e dei salotti che contano ma soprattutto una filmografia così fuori dagli schemi da riuscire nell'intento di scomodare i vertici del sistema, pronti a reagire con anatemi e scomuniche all'intransigenza del regista siciliano. Oltre a questo il fatto che "Belluscone, una storia siciliana " rappresenta anche la prima volta (ove si escluda "Tony Scott..") di Maresco senza Daniele Ciprì, il sodale di sempre, nel frattempo affermatosi come uno dei migliori direttori della fotografia, ed autore egli stesso di due film dalle alterne fortune.
Ma la scelta di legare tale progetto alla figura politica italiana più significativa degli ultimi 20 anni non e' casuale, perché il cavaliere oltre ad essere un animale politico di prima fascia, rappresenta anche lo zenith di una materia cinematografica che, per forza di cose, e seppur indirettamente, con lui ha dovuto confrontarsi. Com'è accaduto a Maresco quando si è trattato, per esempio, di considerare le conseguenze antropologiche e sociali del suo operato attraverso le istantanee grottesche e dissacranti di "Cinico Tv", contraltare brutto sporco e cattivo di un paese abituato a deformità di senso opposto.
In questo caso però Berlusconi, seppur apertamente citato con immagini di repertorio o attraverso il resoconto di chi lo ha conosciuto da vicino (Marcello Dell'Utri) appare piuttosto come un falso scopo, necessario a catalizzare l'attenzione dei media ma soprattutto a tenere insieme in maniera organica i frammenti di un discorso altrimenti impossibile da contenere per la frammentazione del tessuto narrativo. E invece, partendo dalla figura dell'illustre politico, e dalla città, Palermo, che meglio ne rappresenta il consenso elettorale in terra di Sicilia, Maresco ci conduce alla scoperta di una serie di figure umane che sembrano la quintessenza di una mentalità tutta italiana, con "ammuine", malaffare e molto opportunismo, mirabilmente sintetizzati dall'impresario di cantanti neomelodici Ciccio Mira, antesignano dell'Enzo Castagna di "Enzo, domani a Palermo", film a cui almeno nella struttura narrativa e nel rapporto tra realtà e finzione "Belluscone, una storia siciliana" deve molto.
Ed è proprio la natura tragicomica di quest'ultimo personaggio - peraltro realmente esistente-, alla pari di quella degli improbabili cantanti, maldestramente sospesa tra legalità e malaffare, a creare il cortocircuito con il modello berlusconiano, altrettanto pittoresco e surreale, e quindi, e qui sta il punto, compromesso con il tessuto psicologico e sociale di cui è riferimento. Ci sarebbe poi da parlare della forma mockumentary del film, del significato ultimo di una vicenda che in fondo racconta di una pellicola mai conclusa, e che per questo diventa la testimonianza della precarietà che da sempre accompagna il percorso artistico ed esistenziale dell'autore siciliano. A testimonianza di un'opera al tempo stesso complessa ma diretta, che ha avuto l'onere di rappresentare il nostro cinema all'ultima edizione del festival di Venezia, dove è stata selezionata nel concorso ufficiale.
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