Posh
di Scherfig
con Max Irons, Sam Clafin
Uk, 2014
genere, drammatico
durata, 107'
E' davvero
curioso vedere in che modo il cinema si avvicini ai luoghi del sapere e
dell'apprendimento. Quasi mai interessata ai processi della conoscenza -
fatte salve eccezioni di assoluto come per esempio "Essere e avere" di
Nicholas Philibert - la letteratura cinematografica che se ne è occupata
ha utilizzato i territori della cultura e del sapere per esaltare il
cameratismo goliardico e irriverente di una gioventù vitellona (da
"Animal House" in poi) oppure nella sua versione più drammatica come
palestra di vita per le generazioni impegnate a emanciparsi dalla
famiglia e dal mondo.
Una
linea d'ombra che Lone Sherfig aveva gia affrontato con il precedente
"An Education", e che pure ritorna in "Posh", il suo nuovo film
ambientato negli ambienti mestosi e austeri dell'università di Oxford,
dove le vicissitudini di un gruppo di matricole rischiano di
trasformarsi in tragedia quando alcool e frustrazione si sfogano sul
padrone del locale in cui gli studenti stanno festeggiando il loro senso
do appartenenza. Un climax emotivo a cui il regista arriva per gradi,
attribuendo ai vari personaggi tipologie esemplari -introdotte dagli
aggettivi usati nel materiale promozionale - che alla maniera dei
rispettivi americani si incontrano e si scontrano nel tentativo di
affermare il proprio ego.
Usi
e costumi di una società elitaria (Posh) e tribale che la regista mette
in scena nel rispetto di canoni cinematografici da tempo consolidati e
che pescano in egual misura da un classico come "Another Country", preso
in prestito quando si tratta di far entrare in dialettica le ambiguità
dell'animo umano con la rigida convenzionalità dell'istituto Oxfordiano,
così come da certo cinema giovanilistico più spinto e laterale, sul
genere de "Le regole dell'attrazione", presente soprattutto in un
approccio più diretto e stintivo nei confronti dei personaggi.
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