Oramai ci siamo abituati e
le sue dichiarazioni, seppur altisonanti,
lasciano sempre meno traccia. L'ultima di una lunga serie e'quella che
riguarderebbe un'annosa dipendenza da alcool e droga, risolta a
discapito dell'estro artistico, ingabbiato e ridotto all'impotenza da
lunghe sedute sul lettino dello psicanalista. A dichiararlo qualche
giorno fa e' stato l'immarcescibile Lars Von Trier, tornato ciarlero
dopo il silenzio a cui è stato costretto dopo le scandalose
dichiarazioni rilasciate al festival di Cannes in occasione della
presentazione di "Melancolia", dapprima accreditato di una possibile
vittoria e poi travolto dalle polemiche scatenate dalle incaute parole
del regista.
Di certo il cineasta
danese conosce bene la materia e sa anche come
usarla, se è vero che in ogni occasione le conseguenze del suo dire lo
hanno premiato con picchi di visibilità che neanche i suoi film più
famosi sono riusciti a fargli ottenere. L'elenco degli argomenti usati è
lungo e variegato, e comprende perle di saggezza come quelle
pronunciate a favore del nazismo di cui abbiamo accennato in apertura,
oppure estrosità artistiche utilizzate per scrivere le regole
dogmatiche contenute
all'interno del manifesto del movimento da lui fondato- il Dogma- fino
ad arrivare alle confessioni pubbliche che di volta in volta hanno
riguardato una presunta
conversione al cristianesimo e l'avvenuta guarigione da una pesante
forma di depressione. Ed ancora resoconti dettagliati di set infuocati,
con dovizie di particolari su attori sottoposti a ogni tipo di stress e
costretti a performance al limite del consentito.
Appurato che la personalità del nostro è quantomeno eccentrica e che i tormenti del giovane "Lars" sono lungi dall'essere una semplice invenzione, appare pur vero che nel suo caso non tutto sembra nascere da una forma di semplice autolesionismo o dalla voglia di apparire a tutti i costi. Il sospetto è quello di un modo di fare tutt'altro che incosciente, bensì perfettamente organizzato per creare il caso e poi sfruttarlo per tenere desta l'attenzione. D'altronde sin dai tempi di "Le onde del destino" e di "Idioti" si è spesso parlato del regista danese come di un grande affabulatore, capace di orchestrare meccanismi cinematografici in bilico tra serio e faceto, lesti a prendersi gioco dello spettatore trascinandolo in un tourbillion di emozioni calcolate a freddo. La pratica rimane aperta così come la curiosità di vedere se il prossimo film di Von Trier pagherà qualche dazio alla serenità finalmente ritrovata.
Appurato che la personalità del nostro è quantomeno eccentrica e che i tormenti del giovane "Lars" sono lungi dall'essere una semplice invenzione, appare pur vero che nel suo caso non tutto sembra nascere da una forma di semplice autolesionismo o dalla voglia di apparire a tutti i costi. Il sospetto è quello di un modo di fare tutt'altro che incosciente, bensì perfettamente organizzato per creare il caso e poi sfruttarlo per tenere desta l'attenzione. D'altronde sin dai tempi di "Le onde del destino" e di "Idioti" si è spesso parlato del regista danese come di un grande affabulatore, capace di orchestrare meccanismi cinematografici in bilico tra serio e faceto, lesti a prendersi gioco dello spettatore trascinandolo in un tourbillion di emozioni calcolate a freddo. La pratica rimane aperta così come la curiosità di vedere se il prossimo film di Von Trier pagherà qualche dazio alla serenità finalmente ritrovata.
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