Fedele alla linea
TFK
di ,G.Maccioni.
con, G.L.Ferretti.
genere,documentario
Italia, 2013
durata,75'
Un
cavallo che scarta e si agita al momento della ferratura; frasi brevi
ma nette, del genere "Con l'adolescenza ho scoperto il mondo e la
vita... Poi non ne potevo più... Scegliere tra la villetta a schiera,
l'appartamento, fare un mutuo e decidere che la vita era finita",
possono servire ad inquadrare con sufficiente approssimazione i contorni
di una persona sfaccettata, al tempo tesa verso una qualche forma
esperibile di coerenza tanto misurata negli atteggiamenti quanto venata
nel profondo da una tensione quasi isterica, come Giovanni Lindo
Ferretti, cantante, scrittore e non ultimo allevatore, co-autore assieme
a Massimo Zamboni, ed estensore privilegiato dei testi, dei brani dei
CCCP prima, dei CSI poi (a stretto contatto con figure artistiche del
calibro di Giorgio Canali, Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Ginevra
Di Marco), fino alla costituzione (insieme a parte del nucleo dei CSI)
dei PGR, primo passo in direzione di un'attività solista che negli anni
recenti si e' fatta limitata nelle proposte eppure sempre più variegata
nell'assimilazione delle suggestioni (recital, improvvisazioni,
riproposizione di un teatro delle origini, arcaico, barbarico, nelle scelte formali e di contenuto) e nelle collaborazioni.
La
storia filmata da Maccioni con il patrocinio della Regione Emilia
Romagna e l'apporto della Regione Toscana e della Cineteca di Bologna,
si sviluppa come il resoconto scabro e lineare di una vita (per uno
svolgimento essenziale tanto nella messinscena quanto nella primaria
alternanza di materiale di repertorio e contrappunto della voce del
protagonista), giocato pressoché sempre sul crinale, da un lato, di un puro desiderio
di conoscenza, quindi di apertura al mondo, ai rapporti - umani,
economici, storici, politici... - esemplificato dalle scene ritraenti la
formazione collegiale e dalle istantanee che rivelano una precoce
passione per la lettura; dall'altro, dal progressivo disvelamento -
quasi sempre doloroso al punto da poter congetturare riguardo una
somatizzazione diretta e fisica dei contrasti - di un ineliminabile grumo di
frustrazione allorquando la realtà mostra a chi e' risoluto a non
auto-ingannarsi benché ancora a corto di esperienze, le pieghe sovente
ripugnanti delle sue contraddizioni. Coagulo che, inevitabilmente,
esploderà al raggiungimento della post-adolescenza coincidente con il
rigetto della rigidità familiare (soprattutto materna) e l'avvento del movimentismo, della voglia di moderno,
e confluirà nella rabbia sorda e nel cadenzato disincanto delle schegge
sonore e liriche prodotte durante l'esperienza con i CCCP: "Io sto
bene, io sto bene/Io sto male, io sto male/Io non so, io non so come
stare, dove stare.../Una questione di qualità/O una formalità/Non
ricordo più bene, una formalità" ("Io sto bene"). Una sofferta
preveggenza, quella di Ferretti, che si alimentava di sollecitazioni
disparate (la vicinanza con Lotta Continua; il parallelo sistematico -
sempre critico, se non beffardo - adottato fin dalla nomenclatura più
elementare, con l'altro mondo, quello Comunista, con tutti i suoi
slanci, le sue pigrizie, le sue omertà); di rilanci magari mai arresi
nei confronti di uno stato-delle-cose a passi da gigante incamminato
verso una sghignazzante autodistruzione ma, in ogni caso, sviliti o
delusi ("Esiste una sconfitta/Pari al venire corroso/Che non ho scelto
io/Ma e' dell'epoca in cui vivo.../Produci, consuma, crepa.../Sbattiti,
fatti, crepa/Cotonati i capelli, riempiti di borchie, rompiti le palle,
rasati i capelli/Crepa, crepa, crepa..." - "Morire" - Come pure: "E
trema e vomita la terra/Si capovolge il cielo con le stelle/E non c'è
modo di fuggire mai/Svegliami, svegliami, svegliami..." - "Svegliami"
-). Contraccolpi che, ad un certo punto, impongono di fermarsi ("Non ne
potevo più. Sembrava di stare in un ghetto. Un circolo chiuso, dove
tutti la pensano come te. Da forza, questo.
E' rassicurante. Ma non ce
la facevo più") e di tornare a guardare, in sincronia con un percorso
musicale che si andava vieppiù strutturando con la saldatura operata
con l'arcobaleno sonoro di Canali, Magnelli e Maroccolo, il mondo che
si era lasciato - l'Appennino, le valli, i silenzi, le transumanze - per
riscoprirlo in una dimensione sia materiale sia spirituale che la
cometa furiosa dei CCCP aveva, diciamo così, congelato e che, retrospettivamente, getta anche una luce diversa e molto meno sensazionalistica sulla cosiddetta conversione la
quale, non a caso, nelle parole di coloro che hanno frequentato
d'appresso l'uomo di Cerreto, in particolare Canali e Zamboni, non
esiste. Nota ad esempio proprio Zamboni: "Lui e' sempre stato quello,
nessuna conversione... L'immaginario di Giovanni e' quello, vive tra i
monti ed e' giusto che sia così". Ed inoltre: "Ora ci conosciamo molto
bene, anche se non ci frequentiamo. Prima ci conoscevamo peggio e ci
frequentavamo di più".
Affinità e divergenze,
come si vede, che s'incontrano e non si elidono nel cuore di un
individuo a cui ancora una volta la malattia, già scongiurata al tempo
di una sua ennesima tetra epifania (una gastrite degenerata in ulcera
con perforazioni archiviata dopo tre interventi chirurgici e
l'asportazione di una sezione dello stomaco), intima, nella foggia di un
tumore al polmone "grosso come un CD", poi miracolosamente
riassorbitosi, la riconsiderazione del proprio orizzonte professionale
reindirizzando, di concerto, una già avanzata ricerca interiore
culminata nel viaggio salvifico in Mongolia, sui sentieri di un
nuovo/antico utilizzo del tempo, dei sensi, delle cose (si notino a
questo proposito le ripetute inquadrature mute - spesso fisse e
ravvicinate - di esterni rurali o d'interni colti in vari momenti del
giorno, in cui la pratica di una disciplina fattasi col tempo devozione
per lo stretto indispensabile - "La libertà e' una forma di
disciplina/Somiglia all'ingenuità la saggezza" - si trasmette e assume
una sua fisionomia nella ritrovata lentezza degli atti quotidiani spesi
nella propria cura o in quella degli animali, come nell'ordine spontaneo ma
severo degli arredamenti e degli oggetti, accolti dallo spazio nella
solidità gentile del legno): incedere che non esclude la Morte,
ricondotta per una volta nel suo alveo naturale, ben a riparo
dall'oscena assurdità che la sua rimozione ha generato nelle presunte coscienze moderne, al fine di restituire almeno in parte quel sano senso del tragico che l'esistenza dovrebbe di per se' suggerire.
Teoria
e prassi della vita che, in conclusione, finisce per abbracciare senza
attrito pure il canto il quale, in quanto tale e con siffatti
presupposti, non può che essere canto-del-mondo, del suo ripresentarsi
ogni giorno ("La terra e' pesante, pesante da portare") nonostante - o,
forse, chissà - proprio in ragione dell'asprezza avvilita che si spende
per tessere attorno a lui estenuanti constatazioni senza scampo, nel
gesto sempre accennato/abortito di una riconciliazione che Ferretti,
uomo irreconciliato quasi per definizione, tenta innanzitutto verso gli
affetti vicini (commovente e umanissimo quello al fine siglato con la
madre) e lancia dal suo sguardo febbrile e dalla sua schieleriana
magrezza verso di noi, verso un germoglio che si fa strada su un albero
dietro casa, verso un puledro appena nato che fatica a stare in piedi e
socchiude gli occhi ma solo per riprendere le forze.
TFK
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