mercoledì, luglio 01, 2015

PREDESTINATION

Predestination
di Michael e Peter Spierig
con Ethan Hawke, Sarah Snook, Noah Taylor
Australia, 2014
genere, fantascienza
durata, 97'


Ci rendiamo conto che raccontare la trama di un film come “Predestination”, interamente costruita sui paradossi temporali che derivano dalle capacità dei protagonisti di spostarsi nel tempo e nello spazio, è pressochè impossibile. Si tratterebbe infatti di snaturare una vicenda che nasce e prende forma dalla circolarità della sua natura e dal conseguente gioco di specchi tra le personalità dei protagonisti del film, uniti, con diversa consapevolezza nel tentativo di anticipare le manifestazione del male. Come succedeva in “Minority Report”, anche qui siamo di fronte a un gruppo di agenti segreti che, sotto mentite spoglie e con particolari vincoli procedurali, è in grado di precorrere le minacce dei vari malintenzionati. Ed è proprio la cattura del più famigerato tra quelli ancora in libertà, soprannominato “la madre nubile”, a costituire l’ultimo incarico dell’agente speciale interpretato da Ethan Hawke, chiamato a guadagnarsi la pensione non prima di aver impedito al metodico criminale di organizzare un attentato terroristico nella New York degli anni 70.


Detto che il film è tratto dal racconto di culto “Tutti voi zombie”, scritto da Robert A. Heinlen nel 1959, “Predestination” conferma, dopo “Daybreakers”, la tendenza degli autori a raccontare storie dominate dal segno di una diversità fisiologica – e in questo caso transgender - che impedisce di essere felici. Di certo “Predestination” nella sua appartenenza al filone fantascientifico, si preoccupa di dire la propria sul mondo che verrà, tratteggiato con quelle caratteristiche di globalizzazione, qui esasperate dalla possibilità di far convivere epoche diverse all’interno della stessa esistenza.


Ma quello che risalta maggiormente, e che costituisce il motivo della sua peculiarità è la tendenza del film a rifugiarsi in territori meno scontati e più intimi, corrispondenti al bisogno di normalità dei protagonisti, che li spinge a condividere i bisogni e le pulsioni più nascoste. Quello che ne viene fuori è quindi un prodotto a doppio passo; che affascina, quando, nell’assoluta predominanza di dialoghi e primi piani, si trasforma in un kammerspiel dalle atmosfere malinconiche e dolorose, e che invece perde colpi nel momento in cui si lancia in una visionarietà frenata non poco dalla normalità di una forma, incapace di rappresentare in termini di flusso visuale, la sfrenata fantasia dei suoi protagonisti.

Nessun commento: