The confessions of Thomas Quick
di B.Hill.
GB 2015
genere, documentario
durata, 95'
Rictus incontrollati di un Sistema agonizzante. Al volgere degli '80, Sture Bergwall, individuo-massa svedese autoproclamatosi John Quick,
in relazione alla prontezza della sua presunta condotta, viene prima
internato in un centro psichiatrico (per le conseguenze dell'irruzione a
scopo di rapina in un appartamento e al termine di una giovinezza
burrascosa, culminata, diciamo così, in un accoltellamento
fortunatamente non letale), indi accusato - in relazione a rivelazioni
offerte di propria volontà - di otto efferati omicidi riconducibili a
persone scomparse e a casi mai risolti. Il gruppo delle potenziali
vittime raggiungerà in breve, mano mano che Bergwall/Quick intensifica
la sua collaborazione con le autorità, lo straziante numero di 39
possibili crimini. Ribadiamo il termine "possibili" poiché, via via che
Hill ci conduce nei meandri di una mente di certo disturbata, la trama
che dovrebbe unire in un solo vincolo inattaccabile le affermazioni di
Bergwall ai suoi gesti, mostra più di una sfilacciatura. Colui che la
stampa, al solito famelica quanto malata d'improntitudine, s'affretta a
proclamare "omicida seriale" e "più feroce assassino nella storia
svedese", nell'istante in cui ritratta le affermazioni rese anche
durante penosi sopralluoghi nei boschi e nelle radure teatro degli
eventuali eccidi, costringerà l'intero suddetto Sistema (giudiziario,
sanitario, mediatico) ad ammettere, al prezzo di non poche reticenze e
veri e propri dinieghi (buona parte dei protagonisti del caso ha
declinato l'invito del regista a fornire un'altra versione dei fatti o
criticato l'immagine complessiva vistasi attribuire), la sostanziale
inconsistenza dell'impianto accusatorio fondato più sull'aderenza di
Bergwall/Quick al suo personaggio di massacratore indefesso ma
all'occorrenza in grado di ricostruire il personale comportamento
secondo la sedicente efficacia di una terapia riabilitativa centrata sul
disseppellimento di memorie rimosse in relazione ad un ipotetico terribile trauma infantile, che sulla scrupolosa verifica delle circostanze e delle evidenze.
Il
motivo d'interesse in un'opera/documento abbastanza convenzionale,
basata com'è sulla collaudata struttura che prevede una rapida
introduzione della vicenda e il tipico sgranarsi dei punti di vista su
una falsa riga tesa a corroborare/interpretare/ contraddire
l'assunto di partenza, risiede nel graduale ma inequivocabile cambio di
prospettiva che investe la figura di Bergwall, mitomane compulsivo
attanagliato dalla solitudine e da un inestricabile groviglio fatto di
pulsioni irrisolte, sensi di colpa, radicati convincimenti
d'inadeguatezza, instabilità caratteriale, sessualità frustrata, capace,
lentamente ma irresistibilmente, d'imbastire un perverso gioco tipo
gatto-col-topo (esplicitando: ad ogni rivelazione corrispondeva un
cambiamento delle condizioni ospedaliere e un prolungamento del
trattamento farmacologico, nonché un regime poco restrittivo, tale da
consentirgli una certa libertà di manovra - sebbene in regime di
cattività - secondo gli standard di reinserimento spinto peculiari
della cultura scandinava), condotto ad un punto tale di tensione da
originare, in seguito, sul piano meramente processuale, il
proscioglimento dagli addebiti e, in generale, su
quello socio-antropologico, la constatazione dell'avvitarsi grottesco -
se non fosse inquietante - di due dei più importanti apparati dello
Stato, deputati entrambi, anche se su piani e con modalità diverse, al
controllo sociale: quello investigativo-procedurale e quello
medico-scientifico.
Risulta
evidente, in altre parole, a partire dal tono e dal ritmo - più cupo e
incalzante, di classica matrice giornalistica arricchita, laddove le
ovvie lacune lo richiedevano, da inserti di finzione, nella prima parte;
più dilatato e meditativo, a comporre un singolare, a tratti surreale,
ritratto in chiaroscuro di un sociopatico che tenta con una sua contorta
coerenza di restare attaccato ad una società che nel migliore dei casi
lo ha ignorato e di quella stessa società che manipolandone intenzioni e
atteggiamenti, di fatto solo presupponendoli, finisce par farsi da lui
manipolare, nella seconda - la scommessa di Hill, volta ad evidenziare
il grumo contraddittorio che da dentro erode, per il tramite sempre
eversivo di una condotta imprevedibile, i presupposti razionali (ossia
la presunzione della loro prevedibilità) di un mondo sempre più
maldestramente incline all'applicazione pedissequa dei parametri e delle
procedure al di la' di ogni evidenza, in una sorta di circolo vizioso -
fatto perlopiù' di giustificazioni a posteriori e di confessioni falsamente
riparatrici - tenuto in piedi allo scopo, più o meno auto-assolutorio,
di ribadire comunque il proprio primato civile e morale, dimenticando
sempre coloro che di sicuro hanno pagato - le vittime - per i quali,
sottolinea l'autore, questa storia e' ben lungi dal dirsi conclusa.
TFK
Nessun commento:
Posta un commento