A margine della premiazione del pubblico che ha ufficialmente concluso la decima edizione del Festival del cinema di Roma, la nostra riflessione sul criterio di assegnazione del premio che registra l'inaspettata vittoria di "Angry Indian Goddesses" dell'indiano Pan Nalin.
L’annuncio del film vincitore di quest’edizione della festa del cinema di Roma appena conclusa – “Angry Indian Goddesses” – ci conduce a nutrire dubbi sempre più copiosi circa l’efficacia del “premio del pubblico”. A prescindere dalla bellezza o bruttezza del film in questione – “bello” o “brutto” sono entrambe sentenze non opinabili essendo a discrezione del gusto personale di ognuno – è apparso evidente come il sistema di votazione democratica non sia in grado di supportare il motivo stesso dell’esistenza dei festival cinematografici. A partire dal fatto che ogni manifestazione del genere dovrebbe nascere dalla necessità di creare un punto di rottura con il cinema delle sale (il cui andamento è appunto deciso ad armi pari tra leggi di mercato e gusti del pubblico), questo predominio che la mediocrità esercita sul commercio è una motivazione valida per ragionare attorno all’esigenza, in un contesto che dovrebbe essere anti-commerciale, di avere una giuria di esperti del settore che giudichi realmente, andando al di là del gusto estetico, la validità delle proposte. Qualsiasi occhio più accorto, difatti, ha notato l’aria nuova provenire da film come “Lo chiamavano Jeeg robot” o “Solo per il week-end” – e qui il voto popolare compromette la già di per sé carente lungimiranza che le manifestazioni italiane possiedono nel rilanciare il proprio cinema – mentre tra le file dell’auditorium banalità ed approssimazioni uscivano a frotte dalle bocche di coloro i quali avrebbero deciso le sorti della decisione finale.
All’evidenza del fatto che l’unica alternativa alla premiazione classica fatta da una giuria sarebbe non assegnare alcun tipo di premio, verrebbe da chiedersi, vedendo i titoli in cima alle classifiche degli incassi, a chi sia venuta in mente la malsana e contraddittoria idea di affidare l’assegnazione di un premio più o meno prestigioso a chi già decide le sorti del botteghino: la democrazia, anche nel micro-contesto della festa del cinema, ha fallito di nuovo.
Antonio Romagnoli
Antonio Romagnoli
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