The Program
di Stephen Frears
con Ben Foster, Chris O'Dwod, Lee Pace, Dustin Hoffman
Regno unito, Francia, 2015
genere, biografico, drammatico
durata, 103'
Trasformare le idee in immagini è già nel
concettualmente una sfida non da poco. Ne consegue che in sede di
presentazione sottolineare la complessità produttiva di un film
dedicato alla vicenda umana e sportiva di Lance Armstrong può sembrare
superfluo se non ridondate. Eppure, come spesso accade nelle scelte che
interessano il cinema d'autore quella messa in palio da "The Program"
era una posta davvero alta. Si trattava infatti di ricostruire la
parabola di un campione sportivo tra i più grandi della nostra era,
capace di vincere per ben sette volte consecutive il Tour de France
che, del ciclismo rappresenta l'appuntamento più importante e
prestigioso del calendario, e di farlo subito dopo essere guarito da una
malattia che gli lasciava ben poche speranze di sopravvivenza. Un'
impresa leggendaria che di lì a poco avrebbe assunto ben altri contorni a
causa della scoperta che quel record erano stato raggiunto in modo
illecito, attraverso l'assunzione di sostanze dopanti assunte con la
complicità di un noto preparatore sportivo italiano. Al problema di
restituire la dimensione di tragicità legata a un evento che oltre al
primato agonistico aveva cancellato la credibilità di un uomo assurto a
simbolo di speranza per milioni di malati, "The Program" pagava in
partenza lo scotto di essere arrivato secondo rispetto ad un film come
"Armstrong Lie", il documentario di Alex Gibney che per primo aveva
ricostruito le varie fasi di quella vicenda, raccogliendole direttamente
alla fonte, attraverso la confessione che il ciclista gli ha concesso
all'indomani dell'ammissione di colpevolezza rilasciata nel talk show di
Oprah Winfrey.
Rispetto a queste premesse Stephen Frears procede
in due direzioni: dal punto di vista dei contenuti si comporta in
maniera ortodossa sposando la versione ufficiale dei fatti e
trasformando il suo resoconto in un almanacco narrativo in grado di
refertare le date, i nomi e gli episodi più salienti ed emblematici
della facenda, compresi quelli che rifacedosi ai vari highlights
delle telecronache del periodo testimoniano le intimidazione di
Armstrong nei confronti dei corridori (celebre quello subito
dall'italiano Diego Simeoni) che avevano il coraggio di denunciare l'uso
del doping nell'ambito del gruppo. Sotto il profilo cinematografico
invece, decide di prendere - secondo noi giustamente - le distanze dal
documentario di Gibney, da cui lo allontana soprattutto la scelta di
rinunciare a qualunque effetto di realismo a favore di uno stile
antinaturalistico, evidente nella ricerca sistematica della
corrispondenza fisiognomica tra gli attori e i rispettivi personaggi (in
special modo nel Lance Armstrong dell'ottimo Ben Foster e
nell'occhialuta figura del mefistofelico Dottor Ferrari interpretato da
Gauillame Cantet), e ancora nel taglio delle immagini (splendide quelle
iniziali che nel riprendere il protagonista impegnato in un momento di
massimo sforzo ci danno la sensazione del tormento e dell 'estasi
racchiuse in un colpo di pedale), fotografate con cromature iperreali e
attraversate da una luce piatta e artificiale che sembra rimandare alla
mancanza di verità delle imprese compiute da Armstrong.
Tratto
da libro del giornalista irlandese David Welsh che fu testimone
dell'ascesa e della caduta di Armstrong e che in tempi non sospetti
scrisse una serie di articoli ("Flawed Fairytales", una favola bugiarda si intitolava quello consegnato nel luglio del 1999 al Sunday Times per commentare la prima vittoria di Armstrong al Tour De France)
che mettevano in dubbio i risultati ottenuti dal campione americano,
"The Program" non si distacca dai difetti che appartengono alla maggior
parte delle cine biografie contemporanee, caratterizzate da un passo
narrativo prettamente televisivo e dalle semplificazioni imposte dai
limiti temporali del formato utilizzato. In questo modo non solo "The
Program" è incapace di collocare il racconto nella dimensione di unicità
e di tragedia alle quale la storia di Armstrong di diritto appartiene
come pure di riuscire a trasmettere una parte delle suggestioni di cui
Armostrong, nel bene e nel male, fu affascinante dispensatore. Quello
che viene meno nella riduzione operata da Frears è la denuncia -
presente nel libro di Walh che definisce una parte dei suoi colleghi
delatori e opportunisti - sulla dilagante omertà che in campo
giornalistico si rese complice delle imprese del ciclista, esaltandole
anche davanti all'incomprensibilità della loro straordinaria natura. E
se anche un autore navigato e non nuovo al genere ("The Queen", "Philomena")
come Frears non riesce a fare meglio dei risultati prodotti con un
soggetto come "The Program", allora potrebbe darsi che il difetto stia a
monte e che l'unico modo per raccontare le vite dei grandi sia quello
di sparigliarne la mitologia, deformandone i contorni nella maniera
originale e ardita in cui ci sono riusciti Sokurov (tetralogia sul potere) e Sorrentino (Il divo) nei loro film. In tutti gli altri casi, crediamo, bisognerà accontentarsi.
(pubblicata su ondacinema.it)
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