lunedì, gennaio 02, 2017

FA' LA COSA GIUSTA

Fa' la cosa giusta
di Spike Lee
con Danny Aiello, Spike Lee, John Turturro, Samuel Lee Jakson
USA, 1989
genere, drammatico
durata, 114'


Non c'è bisogno di consultare i manuali di storia né di essere un esperto della settima arte per capire le ragioni che hanno reso "Fa' la cosa giusta" una delle pellicole più importanti della sua epoca e, più in generale, dell'intera storia del cinema. La fama del film è infatti la risultante di più fattori che in parte hanno a che fare con le qualità registiche del suo autore e in parte dipendono dalle condizioni storiche e produttive in cui si colloca la lavorazione del lungometraggio. Ripercorrendo le tappe che portano al festival di Cannes del 1989 dove "Do the Right Thing", inserito nel concorso ufficiale, viene presentato in anteprima mondiale, appare chiaro come l'opera di Lee sia il punto di convergenza di un'onda lunga (iniziata a metà degli anni settanta) scaturita dal progressivo affermarsi della musica rap, la cui massima popolarità coincide con la pubblicazione dello storico album dei Run DMC, "Raising Hell", punta dell'iceberg di una tipologia musicale destinata a dominare le classifiche commerciali grazie a testi di forte impatto politico e sociale capaci di definire l'immaginario di quella cultura hip hop inizialmente chiamata a codificare il linguaggio di strada e lo stile di vita vigenti nei sobborghi delle comunità afro-americane e, successivamente, portato a espandersi oltre confine, raggiungendo riconoscibilità e identificazione planetaria. Non disgiunto - ma, anzi, in tutto e per tutto collegato a queste manifestazioni - si associa il crescente bisogno di rappresentare dall'interno quell'America nera che la cultura dominante continuava a ignorare nonostante le richieste e i fermenti da essa provenienti: prova ne è il successo della sit-com televisiva "I Robinson" e di un attore quale Eddie Murphy, beniamino del pubblico grazie al poliziotto di Beverly Hills, testimonianza, al tempo, dell'esistenza di un pubblico afroamericano e della relativa assenza di progettualità del sistema hollywoodiano che, di fatto, esclude dai mezzi di produzione i registi appartenenti a questa minoranza. Un vuoto che il cinema di Lee riesce a colmare in virtù della forza contrattuale ottenuta con gli incassi di "Lola Darling" (1986), film d'esordio premiato al box-office con 7 milioni di dollari a fronte di un investimento di 175 mila. La storia della giovane artista di colore e dei suoi tre spasimanti rappresentò in questo senso una novità assoluta, perché per la prima volta sullo schermo si dava spazio a personaggi che rispecchiavano nel profondo e senza alcuna reticenza o edulcorazione i prototipi forniti dal mondo reale e, in particolare, dall'universo afro-americano all'interno del quale la vicenda nasceva e si sviluppava.


Da questo punto di vista, per la carriera di Lee, "Fa' la cosa giusta" costituiva una doppia scommessa poichè, da un lato, doveva consolidare attraverso la collaborazione con una major come la Universal le caratteristiche di un cinema che non si limitava a vivere solo durante la proiezione ma che prima e dopo aveva il compito di promuovere (mediante la 40 Acres and a Mule Filmworks, casa di produzione e factory creata dallo stesso Lee) il talento di attori e maestranze suoi fratelli (anche se tra le miriade di scoperte del regista americano una delle più eclatanti è di certo quella dell'italiano John Turturro, impiegato via via nei ruoli più disparati); dall'altro si metteva in gioco dal punto di vista della stretta militanza entrando nel pieno della questione razziale attraverso personaggi e contenuti che, facendo proprio il modello di lotta ipotizzato dal nazionalismo nero, si confrontavano con il razzismo imperante nella società americana e, in particolare, con quello della città di New York, governata dal sindaco Ed Koch, in cui non esisteva giorno senza che una persona di colore non rimanesse vittima delle ingiustizie e dei soprusi perpetrati tanto dalla popolazione bianca quanto dalla polizia la quale, sempre più spesso, si macchiava di abusi e maltrattamenti debitamente coperti dalle istituzioni locali.


In questo clima esasperato e colmo di tensione, la sceneggiatura di "Fa' la cosa giusta" prende corpo in solo dodici giorni attraverso una mescolanza di fatti reali e immaginari che confluiscono nella messinscena della sanguinosa rivolta da parte degli abitanti di un sobborgo di Brooklyn a maggioranza nera. A causarla è l'uccisione di un ragazzo di colore da parte delle forze dell'ordine intervenute per sedare la rissa scoppiata all'interno della pizzeria di Sal e dei suoi due figli - italo-americani - pronti a reagire al tentativo di chi, accusandoli di essere razzisti, vorrebbe impedirgli di continuare a esercitare la propria attività. La particolarità del testo scritto dallo stesso Lee non risiede tanto nell'intreccio narrativo, di per sé lineare nella consequenzialità imposta dall'unità di spazio e di luogo (ricordiamo che la storia, ambientata a Bed-Stuy, il quartiere nero più conosciuto di Brooklyn abbraccia un arco temporale di 24 h), quanto nel modo con cui l'autore mette insieme i diversi elementi del problema, inerenti non solo la dialettica dello scontro tra diverse culture e i tentativi di prevaricazione dell'una rispetto all'altra, ma relativi anche alle contraddizioni legate alla mancata coesione della comunità nera (tema principale di "Aule turbolente" del 1988), divisa al suo interno dall'egoismo dei singoli, quindi sostanzialmente priva di una coscienza che le permetta di unire gli sforzi nel perseguimento della propria autodeterminazione. Un aspetto, quest'ultimo, che Lee, da sempre critico nei confronti della propria compagine, non manca di far rilevare attraverso il personaggio di Mookie - da lui stesso interpretato - il quale, al di là di qualche slancio estemporaneo, viene ritratto nel suo esclusivo interesse per il denaro, elevato a valore massimo anche quando si tratta di scegliere tra questo e la propria prole, abbandonata ad una madre a sua volta presa in considerazione solo quando si tratta di soddisfare i propri appetiti sessuali. Sottolineatura altrettanto evidente in virtù di taluni particolari, apparentemente irrilevanti e persino divertenti, però capaci di definire sotto il profilo sociologico l'ambiente che fa da sfondo agli avvenimenti. Ci riferiamo, per esempio, alla mancanza di valori delle generazioni più giovani e alla distanza morale che le separa da quelle di genitori a stento sopportati, come capita al Sindaco, soprannome assegnato al beone vecchio e saggio che passa le giornate trascinandosi lungo la strada del quartiere. Come pure alla madre di Tina, (Rosie Perez, altra rivelazione targata Lee), la ragazza di Mookie, biasimata dalla figlia per futili motivi, per arrivare al feticismo delle merci, vero e proprio fardello destinato a ostacolare l'auspicato processo di emancipazione. Il tema viene affrontato da Lee in chiave tragicomica con due sequenze collegate al brand sportivo delle scarpe firmate da Michael Jordan, oggetto di un culto destinato a riversarsi in senso negativo nella spropositata reazione del capannello che - nel primo inserto - si raduna attorno al personaggio interpretato da John Savage, reo di aver accidentalmente calpestato la celebre calzatura e perciò meritevole di essere punito. Parossismo confermato qualche scena dopo dal primo piano delle scarpe e dello spazzolino che cerca in maniera ossessiva di ripulirle dall'oltraggio subito. E sempre nella prospettiva di allargare il discorso alla complessità del quotidiano, vale la pena notare come la scelta di utilizzare nella prima delle sequenze incriminate un personaggio di razza caucasica torni comoda al regista per segnalare il progressivo spopolamento dell'area urbana da parte delle persone meno abbienti, costrette a lasciare il posto a quelle di estrazione cattolica, anglosassone e borghese, che Lee non perde occasione di fustigare attraverso la maglietta indossata da Savage recante il cognome del cestista (Larry) Bird, già dileggiato nel corso di "Lola Darling" e qui preso di mira come icona della parte più istituzionale del paese, quella a cui si contrappone la retorica presente all'interno del film.


A fare la differenza e nello stesso tempo a risultare peculiari in "Fa' la cosa giusta" sono però due cose: la prima, a cui avevamo accennato in apertura, è l'esistenza di un punto di vista anomalo, per il fatto che almeno a livello di grande produzione non era mai accaduto che un regista afro-americano potesse esprimersi a proposito della propria gente con i mezzi e la libertà di cui invece Lee disponeva. Oltre a ciò, il fatto che questa volta l'autore mette il dito nella piaga poichè, rispetto ai precedenti lungometraggi, collocati in un contesto yuppie che in qualche modo preservava i personaggi dagli aspetti più crudi della realtà, "Fa' la cosa giusta" si sporca le mani immergendosi nelle viscere delle comunità nere proletarie e operaie e in quella cultura di strada di cui sono espressione i ritmi creati, ad esempio, dai Public Enemy (le parole pronunciate nell'hit "Fight the Power" esprimono come meglio non si potrebbe il canto di rivolta scaturito dall'incontenibile sofferenza di chi è obbligato a subire le storture del potere). Un'ulteriore connotazione è invece di carattere strettamente cinematografico e riguarda il modo con cui Lee riesce a tradurre sullo schermo la carica sovversiva della sua sceneggiatura. Per farlo, mette a punto una commistione di immagini (tendenti a una espressività che si incarica di fare arrivare il messaggio anche a costo di risultare eccessiva e teatrale), suoni (nei primi lavori, la musica è presente in ogni fotogramma e detta i ritmi della narrazione) e parole (utilizzate come colpi di pistola indirizzati verso lo spettatore) che è in grado di riprodurre il coacervo di sentimenti e rivendicazioni accumulatisi in anni di difficile convivenza.



Detto degli espedienti che consentono al regista di mettersi al riparo da eventuali problemi di coerenza narrativa dovuti alla trattazione di una materia di per sé instabile (tra i quali, oltre, come detto, all'unità di tempo e di luogo scelte per lo svolgimento della storia, vale la pena di citare - anche per importanza drammaturgica - il personaggio di Radio Raheem/Bill Nunn, il cui vagabondaggio con lo stereo perennemente sintonizzato sulla canzone dei Public Enemy ribadisce il tipo di emotività che sottende alla storia, e quello di Mookie - a cui Lee si presta per portare al film la notorietà derivatagli dallo successo dello spot girato insieme a Michael Jordan - il quale, consegnando le pizze per conto di Sal - uno straordinario Danny Aiello che si guadagna meritatamente una nomination all'Oscar nella categoria riservata agli attori non protagonisti - ci permette di entrare in contatto con la varia umanità che popola il rione), a sorprendere in "Fa' la cosa giusta" è l'abilità con cui il regista riesce a non piegare l'opera all'ego debordante dei suoi personaggi, tutti, chi più chi meno, dominati da atteggiamenti oltremodo conflittuali. In questo senso, a fare da deterrente alla moltitudine di eccezionalità caratteriali presenti, entra in gioco, la sostanziale ambiguità dei comportamenti umani (con in testa, per l'importanza ricoperta nello scoppio dei disordini, i due poliziotti, dapprima complici degli abitanti del quartiere e poi addirittura carnefici), sempre smentiti da azioni di segno contrario, come capita al termine del confronto tra Sal e Buggin Out, nella sequenza che precede la tragedia. Il tutto, tenendo a mente l'asserzione del titolo che, a fronte dell'imperio del suo significato, finisce per assumere una sfumatura meno netta e quasi interrogativa circa quale sia davvero la migliore cosa da fare. Non è un caso, infatti, che il film si chiuda - un attimo prima dei titoli di coda - con le citazioni di Martin Luther King e di Malcon X (guida morale del regista che qualche anno dopo firmerà un biopic ad essa dedicato), i quali, rispetto alla questione del razzismo e della sua risoluzione offrono alla comunità afro-americana possibilità diametralmente opposte e però, similmente all'amore e all'odio di cui ad un certo punto parla Radio Raheem, destinate con esiti alterni a contendersi il palcoscenico nel teatro delle vicende umane. Dopo aver sfiorato la vittoria a Cannes - battuto sul filo di lana dall'esordiente Steven Soderbergh - "Fa' la cosa giusta" esce negli Stati Uniti scatenando accese polemiche: accusato di istigare alla violenza e di essere a sua volta razzista e omofobo, il film tiene banco per settimane nei giornali e nei media, incassando una cifra pari a circa 27 milioni di dollari che, rispetto ai circa 6 e mezzo investiti per la sua realizzazione, decreta la riuscita commerciale dell'operazione.
(pubblicata su ondacinema.it)

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