Passengers
di Morten Tyldum
con Jennifer Lawrence, Chris Pratt, Andy Garcia, Lawrence Fishburne
USA, 2016
genere, fantascienza, avventura, sentimentale
durata, 116'
Fatto salvo il rispetto per quella parte di pubblico verso il quale è opportuno mantenere intatto il fattore sorpresa offerto dai film di cui andremo a parlare sembra corretto far notare che il cartellone del Natale cinematografico 2016 si segnala per la presenza di un cinema americano la cui tendenza a riciclarsi attraverso formule ed etichette (parliamo dei famigerati remake come pure delle affiliazioni rappresentate dai vari prequel, sequel e spin-off) è bilanciata da una visione del mondo più matura in ragione di storie disposte a bilanciare le esigenze di spettacolo con una maggiore considerazione per i principi cardine dell'esistenza umana. La conseguenza più vistosa, o meglio, quella con la quale per prima si deve confrontare l'emotività dello spettatore è un tipo di narrazione collocata all'interno di un orizzonte in cui il senso della fine trova compiutezza nella restituita mortalità dell'eroe di turno, come sempre all'altezza del suo ruolo e quindi in grado di determinare le sorti del mondo ma non più così sicuro di sopravvivere all'impresa. I riferimenti portano dritti all'ultimo episodio di Guerre stellari ("Rogue One: A Ghost Story") e, per quello che qui ci riguarda, al fantascientifico "Passengers" diretto dal norvegese Morten Tyldum, promosso sul campo per i meriti conquistati con la direzione di "Imitation Game" e assoldato per mandare in porto uno dei blockbuster più attesi dell'ultimo scorcio di stagione.
Forte del preambolo che abbiamo appena menzionato la sceneggiatura del film, scritta dallo specialista Jon Spaihts (sua la firma degli script di "Doctor Strange" e del prossimo remake de "La mummia" interpretato da Tom Cruise) si muove su una trama a doppio binario: da una parte infatti abbiamo situazioni ed elementi tipici del genere fantascientifico che vanno dalla proiezione futuristica della storia, ambientata in un tempo non meglio precisato ma comunque ancora soltanto ipotizzabile, alla caratterizzazione dell'elemento paesaggistico dominato dalla desolata infinità delle lande spaziali e dallo spirito d'avventura che porta con sé l'esplorazione dello spazio infinito, fino alle meraviglie scientifiche e tecnologiche messe a disposizione dei viandanti, tra le quali, in ordine di importanza citiamo l'astronave Avalon, vettore crociera equipaggiato per soddisfare il far bisogno ricreativo dei suoi passeggeri e il sonno criogenico in grado di sospendere l'invecchiamento fisiologico causato dalla durata del viaggio interstellare (120 anni) necessario a raggiungere la colonia di Homestead. Dall'altra, la serie di indizi - a cominciare dall'escamotage della convivenza forzata tra personaggi di segno opposto - che costituiscono la variante alla struttura di genere, quelli che mettendo in scena per buona parte del film la liaison tra il meccanico Jim Preston (Chris Pratt) e la giornalista Aurora Lane (Jennifer Lawrence), costretti a fare i conti con il guasto che li ha fatti risvegliare con 80 anni d'anticipo rispetto alla data stabilita, spostano l'ago della bilancia dalle parti di certo cinema sentimentale la cui tenzone amorosa viene alimentata - ed è questo lo schema che tiene insieme i due filoni - dalle problematiche contingenti alla complessità del viaggio.
Cosparso qua e la di concetti meta letterari ("Credo che ci raccontiamo storie per non sentirci soli, per avere un contatto" e ancora "per scrivere storie straordinarie devi vivere una vita avventurosa") ed elaborato in modo da ribaltare il significato di alcuni dei luoghi tipici dei film di fantascienza, quali ad esempio la passeggiata spaziale di Jim e Aurora qui destinata a perdere il carico di claustrofobia e drammaticità sperimentato in un film come "Gravity" per diventare la dichiarazione d'amore di un uomo alla sua innamorata, oppure nel senso di ospitalità della Avalon, love boat interstellare illuminata a festa e lontana anni luce dagli anfratti minacciosi e tetri della Nostromo scottiana memoria, "Passengers" fallisce proprio dove meno ci si aspetterebbe; ovvero quando, nel tentativo dei protagonisti di salvare la nave dall'imminente naufragio, si tratta di fare largo alla fantasia e all'avventura. A quel punto è il film e non il vettore a perdere il controllo, accelerando le procedure di salvataggio con trovate risibili (su tutte quella che prevede la resurrezione di una delle parti in causa) che mettono in crisi il connubio tra azione e sentimento e, più in generale, con tirate e accorgimenti troppo sbrigativi per risultare efficaci dal punto di vista drammaturgico. Paragonando le premesse iniziali all'esito finale si potrebbe dire, e non ha torto, che la montagna ha partorito un topolino. Peccato per gli attori, ivi compreso per Michael Sheen, che nel ruolo del barman androide si guadagna un posto tra i personaggi più simpatici e originali della stagione cinematografica.
(pubblicata su ondacinema.it)
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