Les ogres di Léa Fehner
con Adele Haenel, Marc Barbè, François Fehner
Francia, 2016
genere, commedia drammatica
durata, 144'
con Adele Haenel, Marc Barbè, François Fehner
Francia, 2016
genere, commedia drammatica
durata, 144'
La compagnia di teatro Davaï è in tournée perenne: è una vita di gruppo, nomade, itinerante. Nel
sud della Francia, i quindici attori della compagnia presentano una rivisitazione corale e scatenata
dell'"Orso" di Cechov. È uno spettacolo che fanno da anni, ma ogni volta accade qualcosa di
nuovo. C'è Lola, che torna per una sostituzione e manda in crisi François; c'è Mona che aspetta un
bambino da un uomo che ha perso un figlio da pochi anni; ci sono tavole da sparecchiare, mucche
da spostare, ragioni da recuperare, tutto prima che si apra il sipario e che venga il tempo di andare
in scena.
Il teatro in "Les Ogres" arricchisce il lavoro cinematografico, ne ravviva le potenzialità, ne rivaluta
persino lo specifico, esaltando quella capacità di parlare in prima persona, con un primo piano, e
un attimo dopo in terza, con un campo lungo, e di rompere l'unità temporale, di recuperare il ritmo
dell'esistenza nelle ellissi e nelle ripetizioni.
Il teatro è ogni volta diverso, mai uguale a se stesso,
mentre il film non ha bisogno di esserlo, la sua natura contiene già la varietà, eppure uno dei motivi
di bellezza del film della Fehner è l'apertura che si respira al suo interno, tra le righe di una
sceneggiatura che è ferrea e calibrata, ma è anche potenzialmente differenziabile, in quanto
concepita attorno ad un'avventura finto-vera, che da qualche parte è ancora in corso.
Come una commediante, la regista, trentaseienne di Tolosa, impersona ruoli diversi: è il direttore
della compagnia, responsabile di un mondo -quello del set- con le sue regole e le sue gerarchie;
ma è anche la figlia del regista, quella che, come sua sorella Inès, ha bisogno di trovare la propria
autonomia, rompendo il legame di dipendenza dall'approvazione dei genitori; è dentro la vita della
compagnia e fuori, ne vede il fascino ma anche l'aspetto decadente e grottesco, la passione ma
anche la fuga dal reale, l'esaltazione che va sempre nutrita, artificialmente, crudelmente.
Mescolando autobiografia (i genitori, Francois Fehner e Marion Bouvarel, sono veri teatranti) e
costruzione, attori di teatro e di cinema, sconosciuti e famosi, Léa Fehner, alla sua opera seconda,
riesce nella sfida di raccontare con ordine il caos, di parlare del peso delle cose senza farlo
avvertire, di attualizzare la rappresentazione di una scelta di vita che è quella dello spettacolo, che
ha un prezzo.
Riccardo Supino
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