Come un gatto in tangenziale
di Riccardo Milani
con Paola Cortellesi, Antonio Albanese, Claudio Amendola
Italia, 2017
genere, commedia
durata, 98’
Giovanni (Antonio Albanese) è un intellettuale che viene remunerato per ciò che pensa (Think Tank); Monica (Paola Cortellesi) è una borgatara che vive nella borgata romana di Bastogi.
Lui vive in un lussuoso appartamento nel centro di Roma, lei in una squallida casa all’interno di un casermone.
I due si incontrano a causa dei loro figli tredicenni che si innamorano e iniziano forzatamente a frequentarsi. Finale aperto e a sorpresa soprattutto per Monica e Giovanni, anche se forse la loro storia durerà come "un gatto in tangenziale”.
Nuovo film di Riccardo Milani che ci riprova con la coppia Albanese-Cortellesi dopo il lungometraggio di successo dello scorso anno “Mamma o papà”?
Il tema parla del conflitto sociale tra il ricco e il povero, l’intellettuale radical-chic di sinistra e la cameriera borgatara. Il razzismo ed il pregiudizio è qui reciproco e violento e rivela la profonda incomunicabilità originaria e naturale tra due mondi che come due rette parallele non si incontreranno mai… oppure si incontreranno all’infinito.
E Monica e Giovanni – le due rette parallele - finiscono per incontrarsi proprio all’infinito a causa dei loro ragazzi che hanno deciso di fidanzarsi.
Il ragazzo vive nella borgata romana di Bastogi tra indiani, gente del Bangla Desh, spacciatori, tossici e comuni delinquenti. La ragazza parla francese e indossa abiti e borse firmate e vive con il padre in un lussuosissimo appartamento nel cuore della capitale.
Ma i loro genitori – pur diversi in tutto – concordano sul fatto che questa storia non può continuare e iniziano a frequentarsi per evitare il peggio, aspettando che il destino o il tempo separino i loro ragazzi.
Lontana dalle melodie d’amore shakespeariano di Romeo e Giulietta, la storia - pur se sembra rimandare alla più famosa storia d’amore di tutti i secoli – non potrebbe esserne più distante.
Rappresenta un mero pretesto per svolgere il tema delle classi a confronto, del dualismo centro-periferia attraverso però una esagerata caricatura degli stessi protagonisti.
Riccardo Milani probabilmente utilizza questo eccesso nei suoi personaggi per suscitare maggiore ilarità nel pubblico e rendere più intensa la commedia, ma il risultato è negativo, perché strappa sì qualche sorriso ma toglie credibilità ai personaggi stessi. Paola Cortellesi viene eccessivamente dipinta come una “coatta romana”, coloratissima, piena di tatuaggi, orecchini -lampadario, con la pelle perennemente abbronzata, unghie laccatissime e scarpe aperte sul davanti. Sembra sempre stia masticando gomme e si muove come chi è sempre sul punto di colpirti con una mazza da baseball.
Antonio Albanese è il suo esatto contrario: grigio, minimalista, sembra sempre indossare la cravatta anche al mare, cortese e ben educato. Almeno nelle apparenze visto che predica l’integrazione ed il supporto finanziario alle periferie romane, ma quando si tratta della sua vita e di quella di sua figlia si chiude a riccio nella sua prigione dorata e diventa il peggiore razzista di classe.
L’integrazione va bene ..ma solo se non tocca la vota di chi generosamente la auspica, va bene ma solo a parole. Il film è pieno zeppo di luoghi comuni: la spiaggia borgatara di Coccia di Morto, vicino Passo Scuro dove tutti fanno casino e sono chiassosamente colorati non può stare al passo con quella di Capalbio dove tutti parlano sussurrando e dove si sta scalzi per sei mesi l’anno per stare a contatto con la terra.
Anche il marito criminale di Monica (Claudio Amendola) è una caricatura: parrucchiere di professione, macellaio rissaiolo per passione e indole, anche lui coattissimo, coloratissimo, pieno di tatuaggi.. in una parola eccessivo.
Paola Cortellesi è sempre bravissima e ci ha ormai abituati a vederla in questi ruoli di donna forte di umili origini, ma l’effetto che ne scaturisce nel suo insieme è quello di dipingerci realtà stereotipate ed esagerate, schiave di clichè che oggi non ritroviamo più così nettamente come il regista ci vuole mostrare. Lo stesso finale è una forzatura dell’andamento della sceneggiatura, laddove affrettatamente ci vorrebbe aprire alla speranza dell’integrazione, perlomeno dei cuori dei due protagonisti che, d’un tratto e del tutto inopinatamente, sembrano sentire la mancanza l’uno dell’altra e seduti su una panchina in centro riescono perlomeno a gustarsi una pizza al cartone…. Forse per il solo tempo di “un gatto in tangenziale”.
Michela Montanari
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