L'insulto
di Ziad Doueiri
con Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh
Libano 2017
genere, drammatico
durata, 113'
In prima istanza potrebbe apparire fuori luogo tirare in ballo un regista così inserito nel cinema mainstream occidentale come lo è in questo momento Denis Villeneuve per iniziare a parlare dell'ultimo film di un autore come Ziad Doueiri, per contro così distante dai meccanismi produttivi e soprattutto dalla fastosa spettacolarità del cinema hollywoodiano. Eppure, qualcuno ricorderà che prima di affrontare progetti come "Arrival" e soprattutto "Blade Runner 2049" il cineasta canadese si era rivelato agli occhi del mondo proprio con un titolo - "La donna che canta"- che, sebbene estraneo all'universo storico e culturale raccontato nel film, aveva avuto la forza di riproporre all'opinione pubblica mondiale la drammaticità della questione libanese e, in particolare, la difficile convivenza tra le varie componenti sociali poi confluite nella guerra civile del 1975 in cui le milizie cristiane facenti capo al partito falangista di Pierre Gemayel si scontrarono con la coalizione arabo palestinese rappresentativa delle altre etnie presenti all'interno del territorio. Anche nella considerazione di non poterli affrontare con piena cognizione di causa, Villeneuve opera sui fatti oggetto della contesa una sorta di astrazione che gli permette di riprenderli, inserendoli in un contesto più indeterminato di quello che si poteva pensare, a cominciare dalla scarsa presenza di nomi e cronologie solitamente utilizzate per storicizzare la narrazione. In questo modo, se nell'immediato a "La donna che canta" veniva a mancare il ritorno di interesse che di solito si accompagna alla riconoscibilità di ciò che si vede, è pur vero che in prospettiva le caratteristiche di universalità lo avrebbero portato addirittura in lizza per la vittoria dell'Oscar come miglior film straniero.
con Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh
Libano 2017
genere, drammatico
durata, 113'
In prima istanza potrebbe apparire fuori luogo tirare in ballo un regista così inserito nel cinema mainstream occidentale come lo è in questo momento Denis Villeneuve per iniziare a parlare dell'ultimo film di un autore come Ziad Doueiri, per contro così distante dai meccanismi produttivi e soprattutto dalla fastosa spettacolarità del cinema hollywoodiano. Eppure, qualcuno ricorderà che prima di affrontare progetti come "Arrival" e soprattutto "Blade Runner 2049" il cineasta canadese si era rivelato agli occhi del mondo proprio con un titolo - "La donna che canta"- che, sebbene estraneo all'universo storico e culturale raccontato nel film, aveva avuto la forza di riproporre all'opinione pubblica mondiale la drammaticità della questione libanese e, in particolare, la difficile convivenza tra le varie componenti sociali poi confluite nella guerra civile del 1975 in cui le milizie cristiane facenti capo al partito falangista di Pierre Gemayel si scontrarono con la coalizione arabo palestinese rappresentativa delle altre etnie presenti all'interno del territorio. Anche nella considerazione di non poterli affrontare con piena cognizione di causa, Villeneuve opera sui fatti oggetto della contesa una sorta di astrazione che gli permette di riprenderli, inserendoli in un contesto più indeterminato di quello che si poteva pensare, a cominciare dalla scarsa presenza di nomi e cronologie solitamente utilizzate per storicizzare la narrazione. In questo modo, se nell'immediato a "La donna che canta" veniva a mancare il ritorno di interesse che di solito si accompagna alla riconoscibilità di ciò che si vede, è pur vero che in prospettiva le caratteristiche di universalità lo avrebbero portato addirittura in lizza per la vittoria dell'Oscar come miglior film straniero.
A differenza di Villeneuve, il regista de "L'insulto" tradisce la proprie origini nella scelta di raccontare la questione libanese da un punto di vista interno e attraverso personaggi immersi anima e corpo nella contemporaneità del proprio paese. Prima di conoscerli nell'aula di tribunale dove si trovano a seguito dell'offesa verbale rivolta da Yasser a Toni, i due personaggi ci vengono presentati all'interno di situazioni che ne definiscono senza alcun equivoco le rispettive posizioni. Nella prima sequenza è Toni che scorgiamo tra gli attivisti pronti ad applaudire il discorso dell'esponente del partito cristiano, mentre non passa molto tempo prima di conoscere la nazionalità palestinese di Yasser - dopo il diverbio - lesto a riparare all'interno di uno dei campi profughi presenti nella capitale libanese dove lo vediamo circondato dai suoi compagni intento a stabilire il da farsi. In questa direzione va anche la frase che trasforma il diverbio iniziale in qualcosa di più profondo e insanabile, quando Doueiri per esacerbare gli animi e impedire la rappacificazione tra Toni e Yasser mette nella bocca del primo la frase più ingiuriosa, evocando la figura di Ariel Sharon e - senza citarla in maniera esplicita - la strage di Shabra El Shatila, utilizzandole per intimidire e umiliare il suo malcapitato rivale. Quello su cui sia Doueiri che Villeneuve sono invece d'accordo è l'impossibilità, in una realtà come quella mediorientale, di poter scindere il pubblico dal privato. Non è un caso che il punto centrale de "L'insulto" sia proprio quello capace di segnare il momento in cui la contesa tra i due protagonisti passa dapprima per le parole degli avvocati e dello loro arringhe e, in seguito, attraverso quelle dell'intera comunità pronta a mobilitarsi in favore di uno o dell'altro, riportando a galla l'insofferenza delle diverse compagini sociali nei confronti di uno Stato che li costringe a una obbligata convivenza.
Forte di una sceneggiatura (scritta insieme a Joelle Touma) che gli consente di entrare e uscire a proprio piacimento dalla procedura dibattimentale e di perlustrare tanto le stanze del potere quanto l'anonimato delle strade, Doueiri è bravo a non perdersi nella retorica di una situazione tanto scontata quanto lontana da una soluzione definitiva. Alla stregua di un film di Asghar Farhadi "L'insulto" riesce non solo a farci vedere la stessa realtà da punti di vista diversi, costringendoci ogni volta a riformulare certezze che avevamo già acquisito ma, assumendo le forme di un thriller esistenziale, ricostruisce le esperienze personali di Toni e Yasser, portando alla luce un rimosso così tragico e indicibile da farne entrambi delle vittime di uno scontro fratricida, senza bisogno che il processo ne decreti innocenza o colpevolezza. Presentato in concorso all'ultima Mostra del cinema di Venezia "L'insulto" ha vinto la Coppa Volpi per il migliore attore assegnato a Kamel El Basha (Yasser) ed è in corsa per una nomination ai prossimi Oscar come miglior film in lingua straniera.
Carlo Cerofolini
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it)
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