Per
un artista europeo che approda in america la maggiore scommessa è
quella di rimanere integro. Tante le tentazioni e poi la difficoltà di
adeguarsi ad un sistema produttivo invadente e coercizzante. Salvo rare
eccezioni i risultati non recano vantaggio a nessuno: ne al regista in
trasferta di solito arenato in produzioni a carattere ibrido, che
provano a far coincidere l'utile, cioè il successo al botteghino, al
dilettevole, inteso come piacere di girare, ne alle casa di produzione
alla costante ricerca di novità in un panorama ormai asfittico.
Nel caso di "The Tall Man" poi c'era di mezzo un golden boy del cinema francese, quel Pascal Laugier che in soli due film e soprattutto con il secondo (Martyrs,2008) aveva riportato il genere horror al centro dell'attenzione, rinnovandolo con una crudeltà inniettata di forte realismo.
La storia metteva al centro della questione la sparizione di bambini da una cittadina della provincia americana ed in seconda battuta il clima di mestizia derivato dalla consapevolezza della popolazione di non riuscire a fermare i rapimenti attribuiti ad un misterioso uomo nero, The Tall Man appunto, figura a metà strada tra leggenda e credenza popolare.
Tra coloro che si danno più da fare una dinamica infermiera (Jessica Biel) rimasta vedova e con figlio a carico, ed un agente dell'Fbi giunto sul luogo per occuparsi dell'indagine.
La situazione precipita quando il destino mette il bambino della donna sulla strada del crudele assalitore.
E con quella anche le certezze del film destinate ad essere completamente ribaltate da un sorprendente quanto arzigogolato spostamento di prospettive.
Cambiamenti che sul piano del registro filmico equivalgono ad un cambio di testimone tra le convenzioni e gli spaventi del cinema horror al clima di afflizione e di pathos di un melodramma (affermato con la sofferenza materna costantemente in primo piano) con venature sociologiche.
Senza svelare la sorpresa, comunque presente, Laugier spiegherà questo passaggio giustificandolo con le conseguenze della crisi economica e morale - rissunta nel quadro di violenza e di degrado entro cui quell'umanità si muove - che attraversa la società contemporanea. Una svolta che ipotizza addirittura scenari da fantapolitica.
Se la cifra di "The Tall Man" convenzionale e piuttosto scontata, era già lontana dagli standard a cui il regista ci aveva abituato, la parte più debole è la mancata fusione tra i due filoni narrativi di una storia che in questo modo appare sfilacciata, poco organica ma soprattutto incapace di tenere desta l'attenzione.
A non aiutare la causa concorrono in ordine d'importanza una scrittura che non riesce a spiegare certi snodi del film - la figura del defunto marito sembrerebbe fondamentale per spiegare la psicologia della protagonista ma alla fine non si capisce fino a che punto - e successivamente la recitazione larvale e catatonica di una Jessical Biel in astinenza da vitamine.
Di Laugier e del suo cinema rimane poco o niente.
Il ritorno in patria è altamente consigliato.
(anteprima del 19/8/2012)
Nel caso di "The Tall Man" poi c'era di mezzo un golden boy del cinema francese, quel Pascal Laugier che in soli due film e soprattutto con il secondo (Martyrs,2008) aveva riportato il genere horror al centro dell'attenzione, rinnovandolo con una crudeltà inniettata di forte realismo.
La storia metteva al centro della questione la sparizione di bambini da una cittadina della provincia americana ed in seconda battuta il clima di mestizia derivato dalla consapevolezza della popolazione di non riuscire a fermare i rapimenti attribuiti ad un misterioso uomo nero, The Tall Man appunto, figura a metà strada tra leggenda e credenza popolare.
Tra coloro che si danno più da fare una dinamica infermiera (Jessica Biel) rimasta vedova e con figlio a carico, ed un agente dell'Fbi giunto sul luogo per occuparsi dell'indagine.
La situazione precipita quando il destino mette il bambino della donna sulla strada del crudele assalitore.
E con quella anche le certezze del film destinate ad essere completamente ribaltate da un sorprendente quanto arzigogolato spostamento di prospettive.
Cambiamenti che sul piano del registro filmico equivalgono ad un cambio di testimone tra le convenzioni e gli spaventi del cinema horror al clima di afflizione e di pathos di un melodramma (affermato con la sofferenza materna costantemente in primo piano) con venature sociologiche.
Senza svelare la sorpresa, comunque presente, Laugier spiegherà questo passaggio giustificandolo con le conseguenze della crisi economica e morale - rissunta nel quadro di violenza e di degrado entro cui quell'umanità si muove - che attraversa la società contemporanea. Una svolta che ipotizza addirittura scenari da fantapolitica.
Se la cifra di "The Tall Man" convenzionale e piuttosto scontata, era già lontana dagli standard a cui il regista ci aveva abituato, la parte più debole è la mancata fusione tra i due filoni narrativi di una storia che in questo modo appare sfilacciata, poco organica ma soprattutto incapace di tenere desta l'attenzione.
A non aiutare la causa concorrono in ordine d'importanza una scrittura che non riesce a spiegare certi snodi del film - la figura del defunto marito sembrerebbe fondamentale per spiegare la psicologia della protagonista ma alla fine non si capisce fino a che punto - e successivamente la recitazione larvale e catatonica di una Jessical Biel in astinenza da vitamine.
Di Laugier e del suo cinema rimane poco o niente.
Il ritorno in patria è altamente consigliato.
(anteprima del 19/8/2012)
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