mercoledì, settembre 05, 2012

La faida


In Albania esistono due anime. La prima guarda al futuro rivestendosi con la modernità urbanizzata, politica ed affaristica di Tirana, la capitale della nazione nella quale convergono gli interessi delle famiglie e dei clan dominanti, la seconda rurale, periferica e tradizionalista situata nella parte nord occidentale del paese ha nella città di Skutari il baluardo della morale e della tradizione. In quel territorio le istituzioni sono costrette a venire a compromessi con i codici di una legge non scritta che conta più della legislazione ufficiale. Una premessa necessaria non solo ad inquadrare un territorio più vicino di quanto si pensi agli usi ed ai costumi del nostro paese ma per quanto ci riguarda utile a delineare lo scenario in cui Joshua Marton, il regista di "Maria Full of Grace" ambienta la sua storia.
Partendo da un fatto di sangue scaturito da antiche tensioni due famiglie si ritrovano improvvisamente coinvolte in una faida (in "calun" nel gergo albanese) in cui i parenti dell'ucciso hanno diritto di vita o di morte sul parentado a cui appartiene l'omicida. Un regolamento di conti che impedendo ai figli maschi di uscire da casa pena il rischio della vita, obbliga Nick primogenito del fuggiasco a rimanere rinchiuso nella propria abitazione in attesa che la parte offesa si ritenga soddisfatta del periodo di detenzione. A portare i soldi a casa provvederà Rudina, la sorella di Nick, impegnata nella vendita a domicilio del pane e nel commercio di sigarette di contrabbando con una sagacia messa a dura prova dal fatto di essere donna in un paese dove il potere è monopolio della controparte maschile. L'arresto del padre farà salire la tensione.

Realizzato utilizzando attori e maestranze albanesi "La faida" a dispetto di un linguaggio cinematografico assolutamente tradizionale e classico, con immagini e narrazione organizzate in maniera logica e lineare rispetto allo sviluppo dell'intreccio e delle psicologie dei personaggi, è dal punto di vista produttivo e non solo un film anomalo. Infatti invertendo la tendenza di un cinema votato alla colonizzazione dell'immaginario ed anche delle risorse, con trasferte oltre oceano dettate quasi esclusivamente da motivi di risparmio economico, e per questo indifferente ad un paesaggio usato come semplice sfondo per replicare motivi e situazioni di matrice casalinga (i set americani allestiti nell'area balcanica a simulare la madrepatria o le sue ragioni non si contano più) Joshua Marton si dimentica delle proprie origini per calarsi anima e corpo nell'humus che racconta. Senza alcun paternalismo e riuscendo a comprendere l'elemento antropologico e sociale all'interno di una struttura che ha ritmi e la suspence del thriller ed il pathos di un melò prosciugato della sua componente più emotiva e sentimentale,"La faida" non rinuncia a farci avere un istantanea del paese mettendo insieme una serie di situazioni che da sole e senza appesantire la narrazione ne restituiscono l'attualità: la condizione femminile incarnata dall'arte di arrangiarsi e dalla determinazione di Rudina, esempio di una dimensione femminile a cui di fatto è devoluta una forza morale poco appariscente ma concreta, capace di essere pragmatico contraltare alle pulsioni di morte della componente maschile; il contrasto tra una società fortemente tribale, dipendente da meccanismi in cui la coscienza del singolo deve sottostare agli imperativi della comunità - ogni iniziativa di Nick per sbloccare la questione è frustrata dalla volontà del consiglio degli anziani - e le sollecitazioni dettate dal progresso che anche in Albania si fa largo nelle generazioni più giovani con cellulari e connessioni internet continuamente presenti nelle immagini del film; la messa in discussione dei principi fondanti, conseguenza inevitabile di quello che abbiamo appena detto, resa attraverso le incomprensioni tra le istanze di Nick deciso ad affermare il diritto alle proprie scelte ribellandosi alla volontà del genitore. Peculiarità immesse in un far west moderno per le caratteristiche da terra di frontiera che il film fa emergere nella descrizione di uno spazio dove anche le istituzioni devono rassegnarsi alla legge del più forte oppure nel far ruotare la storia attorno ad una cattività che assomiglia all'assedio di Fort Apache, con la proprietà privata a costituire il limite ultimo di un'inviolabilità a scadenza limitata, per non dire del finale, quello veramente simile ad una storia di cowboys con la figura che si allontana solitaria all'orizzonte, accompagnata dallo sguardo muto di chi resta a casa. La tendenza a raccontare piuttosto che a riflettere unita alla volontà di conciliare verità ed intrattenimento espone "La faida" al rischio di semplificare troppo, soprattutto nella gestione di alcuni passaggi sottoposti alla fluidità visiva che Marton ha messo a punto nella concomitante frequentazione del serial televisivo. Una tendenza in parte arginata dalla sincera adesione ai destini di un'umanità umiliata ed offesa ed ancora dalla capacità degli attori di calarsi nella parte. Per questo lavoro Joshua Marton ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura nella scorsa edizione del festival di Berlino.

(pubblicato su ondacinema.it)

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