Identificazione di una mostra: la 69 edizione del festival di Venezia lontano dagli schermi - 4 e 5 giornata
Dopo alcune giornate di riscaldamento il concorso entra finalmente nel vivo con le proiezione a distanza ravvicinata di alcuni dei film ritenuti a ragione od a torto, le punte di diamante della selezione voluta dal suo direttore. Ed ancora una volta a fare la parte del leone, è proprio il caso di dirlo, è il cinema americano che nella presenza di due registi del calibro di PT Anderson e Terence Malik condensa in un sol colpo passato, presente e futuro della sua cinematografia. Una doppietta che seppur in diverse maniera e non sempre in modo convincente - durante la proiezione per la stampa "To The Wonder" è stato accolto con grande insofferenza - è riuscita a scaldare la platea peraltro piuttosto assopita dalle visioni precedenti, con due film che pur parlando linguaggi opposti, lineare e storicizzato quello di Anderson, anti narrativo e filosofico quello di Malik, ribadisce il potere incantatorio delle immagini, dispensatrici di bellezza e di significati, che nel caso di "The Master", storia di un rapporto tra il guru ed un discepolo di una setta ispirata (si dice) a Scientology ed al "maestro" Ron Hubbard, è anche capace di ribadire il primato attoriale di una nazione che le mostruose interpretazioni di due attori relativamente giovani come Seymour Hoffman e Joaquim Phoenix mettono al sicuro per un bel pezzo. Una fama, quello di direttore d'attori e non solo, che il regista di "Magnolia" e de "Il petroliere" si è guadagnata in modo discreto ma costante, soprattutto quando le storie dei suoi personaggi hanno iniziato a coincidere con quelli di una nazione che non ama vedersi rappresentata nuda e cruda e che invece Anderson analizza rovesciandone gli archetipi della fama e del successo con protagonisti disposti a sacrificare anche l'anima pur di materializzare i propri desideri. In questo senso l'America degli anni 50, quella appena uscita dalla seconda guerra mondiale, dei reduci che tornano a casa e delle famiglie costrette a riorganizzarsi per fare posto ai fantasmi che questi si portano appresso diventa lo scenario per imbastire il meglio ed il peggio della condizione umana, con un padre padrone (Hoffman) ed un figlio discepolo (Phoenix) ad inscenare la dialettica del bene e del male. I primi commenti confermano le qualità del regista e la tendenza a privilegiare microcosmi d'umanità.
Dopo alcune giornate di riscaldamento il concorso entra finalmente nel vivo con le proiezione a distanza ravvicinata di alcuni dei film ritenuti a ragione od a torto, le punte di diamante della selezione voluta dal suo direttore. Ed ancora una volta a fare la parte del leone, è proprio il caso di dirlo, è il cinema americano che nella presenza di due registi del calibro di PT Anderson e Terence Malik condensa in un sol colpo passato, presente e futuro della sua cinematografia. Una doppietta che seppur in diverse maniera e non sempre in modo convincente - durante la proiezione per la stampa "To The Wonder" è stato accolto con grande insofferenza - è riuscita a scaldare la platea peraltro piuttosto assopita dalle visioni precedenti, con due film che pur parlando linguaggi opposti, lineare e storicizzato quello di Anderson, anti narrativo e filosofico quello di Malik, ribadisce il potere incantatorio delle immagini, dispensatrici di bellezza e di significati, che nel caso di "The Master", storia di un rapporto tra il guru ed un discepolo di una setta ispirata (si dice) a Scientology ed al "maestro" Ron Hubbard, è anche capace di ribadire il primato attoriale di una nazione che le mostruose interpretazioni di due attori relativamente giovani come Seymour Hoffman e Joaquim Phoenix mettono al sicuro per un bel pezzo. Una fama, quello di direttore d'attori e non solo, che il regista di "Magnolia" e de "Il petroliere" si è guadagnata in modo discreto ma costante, soprattutto quando le storie dei suoi personaggi hanno iniziato a coincidere con quelli di una nazione che non ama vedersi rappresentata nuda e cruda e che invece Anderson analizza rovesciandone gli archetipi della fama e del successo con protagonisti disposti a sacrificare anche l'anima pur di materializzare i propri desideri. In questo senso l'America degli anni 50, quella appena uscita dalla seconda guerra mondiale, dei reduci che tornano a casa e delle famiglie costrette a riorganizzarsi per fare posto ai fantasmi che questi si portano appresso diventa lo scenario per imbastire il meglio ed il peggio della condizione umana, con un padre padrone (Hoffman) ed un figlio discepolo (Phoenix) ad inscenare la dialettica del bene e del male. I primi commenti confermano le qualità del regista e la tendenza a privilegiare microcosmi d'umanità.
Di Tutt'altra pasta è il film di Terence Malik che ragionando sull'mpossibilità dell'amore incarnato da un girotondo di menage e separazioni organizza un tour di immagini tra America ed Europa dove gli uomini più che persone in carne ossa sono il riflesso delle idee che il regista come al solito dispensa a profusione con voce fuori campo e Natura in primo piano. Destituendo la parola della sua importanza, caricando le immagini del loro armamentario immaginifico ed evocativo, riducendo o tagliando del tutto ruoli e sequenze e lasciando alle note di produzione tutto quello che normalmente dovrebbe essere contenuto sullo schermo il regista continua a percorrere la strada tracciata con il precedente "Tree of life". Pubblico sconcertato e diviso mentre la critica con il pollice verso sembra in parte ricredersi sulla svolta del regista americana legittimata dalla vittoria cannense.
Dopo siffatta abbuffata suscitare interesse sarebbe stata un impresa per chiunque ma essendo quella italica una progenie abituata a dare il meglio nelle situazioni più critiche succede che il primo film di Daniele Ciprì "E'stato il figlio", vicenda di brutti, sporchi e cattivi capitanati dal camaleonte Tony Servillo, riesca ad innescare nuove attenzioni. Davide sfida Golia con gli strumenti del tragicomico per uno spettacolo in cui la maschera d'attore del fuoriclasse partenopeo è declinata con i ritmi sincopati di una sceneggiata siciliana in salsa tragicomica in cui il sogno di ricchezza si riversa sulla miseria di un umanità da cinico tv. L'anarchia di quell'esperienza televisiva convogliata in un contenitore da cinema classico riesce a mantenere intatta la capacità di far male. All'imminente uscita nelle sale affidiamo la verifica della novella veneziana mentre ribalza sul lido l'annuncio di un Muccino (ingrassato a dismisura) associato al progetto di un thriller fantascientifico, e di un veterano come Gianni Amelio intenzionato a riciclarsi con una commedia (girata insieme ad Antonio Albanese), il cui titolo "L'intrepido" potrebbe essere la definizione più calzante per il cinema italiano presente qui a Venezia: piccolo ma sicuramente coraggioso
Abbiamo parlato di:
The Master (Usa 2012)
di PT Andersson
con Seymour Hoffman, Joaquim Phoenix
To the Wonder (Usa 2012)
di Terence Malik
Con Ben Affleck, Rachel Adams, Javier Bardem
E' Stato il figlio
di Daniele Ciprì (Ita 2012)
con Tony Servillo
L'intrepido ( in preparazione)
di Gianni Amelio
con Antonio Albanese
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