sabato, settembre 15, 2012

Ritratti: Jennifer Connelly (4)

Alla soglia dell'età ingrata (ingrata cinematograficamente parlando, s'intende, in specie per i parametri schiacciasassi di Hollywood), l'attrice, nata nel dicembre del 1970, si ritaglia un ruolo esornativo in "Pollock", (2000), fatica inseguita per anni dall'attore (qui anche regista) Ed Harris sulla vita talentuosa e tragica dell'ispiratore dell' "action painting", il pittore Jackson Pollock, che non lascia affatto presagire il raggiungimento della maturità espressiva che si paleserà a cominciare da "Requiem for a dream" a "Requiem per un sogno", (2000) di Darren Aronofsky, passando per "Waking the dead", (2000) di Keith Gordon,sino a raggiungere la vetta non solo di popolarità in "A beautiful mind" ,(2001) di Ron Howard - Oscar come migliore attrice non protagonista – ribadita ne "La casa di sabbia e nebbia", "House of sand and fog", (2003) di Vadim Perelman e "Hulk" , (2003) di Ang Lee. Prima di analizzare per sommi capi queste opere, vale la pena notare che la Connelly nel periodo a cui si fa riferimento mostra anche un significativo cambiamento d'aspetto: la struttura robusta e le forme classiche lasciano ora il posto ad una silhouette più filiforme, in linea - non si sa quanto volutamente o per mero caso o per naturalissimo decorso (la Connelly e' anche madre) - con l'altra eterna ossessione degli studios, ossia la magrezza.

Comprensibile in un'opera non del tutto riuscita come "Requiem for a dream" (2000) - tratto da un romanzo di Hubert Selby jr., in cui il ritmo e'continuamente spezzettato dall'alternarsi dei punti di vista dei protagonisti in assonanza con la struttura a blocchi giustapposti dello scritto, in cui da vita ad una ragazza dei quartieri alti di New York innamorata di un tossico del quale condivide sino in fondo il destino della dipendenza giungendo all'abiezione e all'annulamento di se' - mal si adatta a "Waking the dead",(2000) opera più compatta e nei risultati più sofferta, in cui la Connelly riesce a mostrare con diverse gradazioni di accenti la vita di una giovane donna idealista e cocciuta, divisa dalla contraddizione che nasce dal dover scegliere tra la volontà di realizzare grandi cambiamenti al limite dell'utopia e l'eventualità di ridimensionare le aspettative dedicandosi ad un amore "normale", fatalmente più piccolo delle elevate aspirazioni che ognuno nutre dentro di se' ma di certo più reale, più vero. Inoltre, anche in questo film, il suo personaggio ad un certo punto scompare in ciscostanze mai del tutto chiarite, trasformandosi di nuovo, stavolta nella vita della sua anima gemella(Pierce/Billy Cudrup), nel simbolo dolente delle promesse non mantenute, dei sentimenti vissuti per niente, delle sorde disperazioni di cui non si riesce a venire a capo. Questa composta ma non rassegnata sofferenza si delinea e si precisa sia in "A beautiful mind" che "Nella casa di sabbia e nebbia" e con esiti diversi anche in "Hulk".

In "A beautiful mind", biografia romanzata del matematico John Nash affetto da schizofrenia e dopo anni dolorosi insignito del Nobel per l'economia nel 1994, la Connelly interpreta con sicurezza e una specie di febbrile understatement il ruolo cardine per la vita di Nash della moglie Alicia, la prima a non arrendersi di fronte alla malattia, l'unica a frapporre un argine sicuro – per quanto segnato da sconfitte e da angosce - tra lui e un mondo che privato del recinto logico dei numeri sembra essere popolato solo da fantasmi e forme imperscrutabili.

Ne "La casa di sabbia e nebbia" l'attrice - tornata abbastanza in carne per l'occasione - mostra qui con toni più nervosi e disperati una delle tante facce che può assumere il sogno americano quando gli si concede abbastanza spazio per capovolgersi in incubo: Kathy, fragile, sola, incline all'alcool, vede portarsi via dalla cecità del sistema l'unico motivo per restare attaccata al mondo delle relazioni e dei ricordi: la sua casa.

Nella desolazione della California del nord la Connelly s'aggira col suo sguardo basso e il suo corpo stanco come una preda inerme ma non del tutto priva di responsabilità nei confronti della propria condizione che alla fine si abbatterà tragicamente (con qualche forzatura) sulle vite dei nuovi proprietari (la famiglia di un sempre diligente Ben Kingsley).

Stessa atmosfera - e sembra un paradosso - si respira almeno in tutta la prima parte di quella produzione ad alto budget che e' "Hulk", il notissimo colosso verde partorito dalla fantasia senza freni della combriccola Marvel.


di TheFisherKing


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