con B.Willis, J.Courtney, C.Hauser, S.Koch
USA 2013 - 97'
by TheFisherKing
Con questo quinto episodio delle avventure rutilanti e semi-fumettistiche dello sbirro John McClane e' un po' come tornare nel giardino di casa dopo una discreta parentesi trascorsa altrove, anche se l'azione - tonitruante e coloratissima ma paradossalmente pressoché inerte - si svolge perlopiu a Mosca. Dal quarto di secolo che ci separa da "Trappola di cristallo" ("Die hard", 1988, di J. McTiernan), passando per le stazioni successive, a dire "58 minuti per morire" ("Die hard 2", 1990, di R. Harlin); "Die hard: duri a morire" ("Die hard: with a vengeance", 1995, ancora di McTiernan), sino al più recente "Die hard. Vivere o morire" ("Live free or die hard", 2007, di L. Wiseman), il carattere di Willis ha perduto via via - a parte i capelli - le connotazioni realistiche o verosimili che ancora, per quanto tenuemente, resistevano nelle prime pellicole (la prima in particolar modo) e la agganciavano al sotto filone poliziesco con venature catastrofiche (pensiamo all'unita di luogo, al microcosmo concentrazionario del grattacielo Nagatomo), per assumere quella sorta d'imponderabilità punteggiata di sarcasmo e capitomboli, quell'astrattezza a riparo da psicologie ingombranti o snodi irrisolti sempre in primo piano, che solo i veri eroi - in specie quelli del cinema - possono permettersi perché, quando l'immedesimazione calza, come nel caso di Willis e il corpo aderisce senza sforzo alla maschera, il vissuto interno del protagonista diventa tanto più credibile e per certi aspetti drammatico quanto meno e' mostrato o posto al centro della discussione.
Stavolta, pero' - e la sua discreta parte di (de)merito se la porta impressa la mano quadra di un regista come John Moore ("Behind enemy lines", "Max Payne") - il meccanismo e' talmente poco oliato da incepparsi quasi subito nel suo stolido sbattere sempre sugli stessi spigoli; la storia (benché resta implicita la sua importanza marginale in questo tipo di operazioni seriali) eccessivamente stracca e avara d'idee; i vuoti e le ovvietà grossi come le voragini aperte dagli sconquassi degli inseguimenti sulle intasatissime arterie moscovite o come gli squarci praticati negli edifici dai furibondi mitragliamenti elicotteristici, che a rimetterci e' proprio l'eroe, il ben conservato cinquantasettenne Willis, già poco convinto e un tanto sfiduciato di suo e qui chiamato a misurarsi con cicliche acrobazie un tanto al chilo ma soprattutto orfano di quella leggerezza e di quella autoironia che si erano imposte come uno dei contrappunti vincenti dell'intera saga.
Se Willis e' e resta "l'ultimo boy-scout", insomma, e' giusto pretendere che gli venga offerta una missione degna di lui e di questo nome.
TFK
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