Studio illegale
di Umberto Carteni
con Fabio Volo, Zoe Felix, Ennio Fantastichini
Ita, 2013
durata 90
Era il 1991 quando Brett Easton Ellis pubblicò dopo molte controversie l'atto d'accusa nei confronti di una generazione, quella degli anni 80,omologata e superficiale. In quel libro, e poi in parte nell'omologo film di Mary Harron (American Psycho, 2000) a farla da protagonista era l'idea di una società trasfigurata dal consumo degli oggetti che finivano per sostituire le identità di essere umani riconoscibili non in quanto persone ma come portatori di griffe e di tendenze. Una delle caratteristiche più lampanti del libro e pure del film, era l'impossibilità da parte dei personaggi di collegare anche solo per un momento il volto dell'interlocutore con il nome e la storia di chi vi stava dietro. Da cui una serie d'equivoci divertenti, ed anche macabri, che però riuscivano a materializzare la nevrosi di un passaggio per certi versi epocale. A vent'anni di distanza, e dopo una serie di stravolgimenti anticipati da quella visione, torna a farsi viva, non senza ragione visti i tempi, la sensazione di un vuoto pneumatico espresso con tic, manie e difficoltà relazionali non lontane da quelle che Ellis "catalogava" nel suo libro. A portarla sullo schermo con un'operazione simile al modello di riferimento ma con molti meno problemi dal punto di vista produttivo è Umberto Carteni (Diverso da chi?, 2009) che traduce per immagini le parole di Federico Baccomo "Duchesne", blog scrittore assurto a successo con ben due libri appaltati per il cinema (il secondo dovrebbe diventare un film con Bisio). Un parallelismo che Carteni non perde tempo a ratificare, dopo averci sorpreso con l'ultimo atto di un suicidio a suo modo sorprendente. Siamo infatti ad inizio film, con la figura ed il faccione di Fabio Volo, apripista necessario per farci entrare nella storia con animo predisposto ad una certa leggerezza. Ed invece no, perché quel salto nel vuoto, spiazzante e mortale, appartiene al collega di stanza di Andrea Cambi (Volo), avvocato rampante e playboy incallito, da lì in avanti costretto a fare i conti con il cinismo della sua e dell'altrui esistenza.
Uno scarto esistenziale che si completa nella scena successiva dove uno sbigottito Andrea assiste al discorso di commiato di Giuseppe, boss cinico e mellifluo - un Ennio Fantastichini trasfigurato negli eccessi del suo personaggio - che approfitta dell'occasione per incitare i presenti ad onorare il defunto riprendendo a lavorare con rinnovato accanimento. Come in Ellis quindi, la morte assume fin da subito tratti grotteschi, e soprattutto laterali rispetto alle regole dei rituali collettivi. C'è lo dice l'inserto che seguirà di lì a poco, con un fashion party che è insieme luogo deputato da Cambi per rimorchiare avvenenti fanciulle, ed allo stesso tempo quintessenza di un acquario sociale dove il regista mette in mostra i freaks contemporanei. Un inizio promettente, per certi versi spiazzante, che però deve fare i conti con l'incipit del film, ovvero la presa di coscienza del protagonista, assente in Ellis, con un ritorno alla vita testimoniato dall'innamoramento per la collega francese, controparte legale dell'azienda farmaceutica di cui Cambi deve seguire l'acquisizione per conto di un potente sceicco. Una piega per certi versi prevedibile, vista la presenza di Volo, ormai abbonato a ruoli da figliol prodigo, e per le esigenze di un prodotto che non vuole discostarsi per motivi di profitto dal clichè buonista e molto consolatorio di certa commedia italiana, pronta a tutto pur di salvare in calcio d'angolo i suoi pargoli e le loro malefatte (il finale, con l'ammiccamento di Volo allo spettatore ne è prova lampante e per certi versi agghiacciante).di Umberto Carteni
con Fabio Volo, Zoe Felix, Ennio Fantastichini
Ita, 2013
durata 90
Era il 1991 quando Brett Easton Ellis pubblicò dopo molte controversie l'atto d'accusa nei confronti di una generazione, quella degli anni 80,omologata e superficiale. In quel libro, e poi in parte nell'omologo film di Mary Harron (American Psycho, 2000) a farla da protagonista era l'idea di una società trasfigurata dal consumo degli oggetti che finivano per sostituire le identità di essere umani riconoscibili non in quanto persone ma come portatori di griffe e di tendenze. Una delle caratteristiche più lampanti del libro e pure del film, era l'impossibilità da parte dei personaggi di collegare anche solo per un momento il volto dell'interlocutore con il nome e la storia di chi vi stava dietro. Da cui una serie d'equivoci divertenti, ed anche macabri, che però riuscivano a materializzare la nevrosi di un passaggio per certi versi epocale. A vent'anni di distanza, e dopo una serie di stravolgimenti anticipati da quella visione, torna a farsi viva, non senza ragione visti i tempi, la sensazione di un vuoto pneumatico espresso con tic, manie e difficoltà relazionali non lontane da quelle che Ellis "catalogava" nel suo libro. A portarla sullo schermo con un'operazione simile al modello di riferimento ma con molti meno problemi dal punto di vista produttivo è Umberto Carteni (Diverso da chi?, 2009) che traduce per immagini le parole di Federico Baccomo "Duchesne", blog scrittore assurto a successo con ben due libri appaltati per il cinema (il secondo dovrebbe diventare un film con Bisio). Un parallelismo che Carteni non perde tempo a ratificare, dopo averci sorpreso con l'ultimo atto di un suicidio a suo modo sorprendente. Siamo infatti ad inizio film, con la figura ed il faccione di Fabio Volo, apripista necessario per farci entrare nella storia con animo predisposto ad una certa leggerezza. Ed invece no, perché quel salto nel vuoto, spiazzante e mortale, appartiene al collega di stanza di Andrea Cambi (Volo), avvocato rampante e playboy incallito, da lì in avanti costretto a fare i conti con il cinismo della sua e dell'altrui esistenza.
In questo modo, seguendo un canovaccio in cui per arrivare al lieto fine c'è bisogno della dovuta dose di gioie, equivoci ed anche dolore, "Studio illegale" smarca velocemente qualsiasi istanza riferibile al grottesco sociale (a parte l'espediente messo in bocca a Giuseppe, imperterrito nel confondere i nomi dei suoi interlocutori) per imbarcarsi nell'ennesima storia di sentimenti feriti, di buone intenzioni mascherate dal solito gallismo italico, e poi dall'immancabile ritratto di una compagine maschile eternamente afflitta da sindrome infantile. Confezionando la storia con un'aria vagamente retrò non solo per la mise dei protagonisti - lui con affetti e capelli all'indietro sembra uscito fuori da un film di Pietro Germi, mentre lei viso aguzzo e gonne ad altezza ginocchio a ricordare la moda a cavallo dei 60 - ma anche per una fotografia calda e malinconica, le cui sfumature dorate ed anche certi inserimenti musicali sembrano alludere ad atmosfere di un periodo che fu, Carteni da vita ad un prodotto che nella sostanza è ripiegato sulla presenza della sua star, e che per questo riduce tutto il resto a cominciare dall' alter ego femminile, bidimensionale perchè sviluppato solo come pretesto per scatenare le contraddizioni di quello maschile, a mero accessorio. Intriso d'apparente solitudine, ma in realtà ancorato felicemente ad un individualismo sfrenato, evidenziato dal fatto che tutti indistintamente mentono sapendo di mentire - anche il nuovo arrivato interpretato da Nicola Nocella si adegua subito all'andazzo - "Studio illegale" attraverso il tema della menzogna vorrebbe rimandare ad un altrove che però non esiste neanche per un momento tanto è scoperta, e per niente stratificata la descrizione del presunto nascosto dei vari personaggi.
Ed è un peccato che Fabio Volo, a differenza di un attore splendidamente dilettante ma dall'esperienza professionale ben più variegata come Valerio Mastandrea, non riesca a rischiare un pò di più sfruttando i vantaggi del momento per offrirsi varianti capaci di sviluppare la naturale confidenza ad apparire. In questo caso si registra solo un colpo a vuoto, suo e pure del film.
(pubblicato su ondacinema.it)
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