The Last Stand
di Kim Ji woon
con Arnold Schwarzenegger, Eduardo Noriega, Forrest Withaker
Usa 2013
durata, 107
Accanto all'action tecnologica prelevata dai videogiochi ed a quella cablata sulle immagini di sintesi si sta affiancando con consapevolezza ancora incerta un alternativa che sembra avere per modello un tipo di cinema targato anni 80. "Jack Reacher", prossimamente "Bullet To the Head", ed oggi questo "The Last Stand" sembrano riaffermare il primato di ciò che sta realmente davanti alla macchina da presa, rispetto a quello che invece vi figura in maniera virtuale. Spazio quindi ai divi di quella decade con Tom Cruise, Sylvester Stallone e per l'appunto Arnold Schwarzenegger impiegati al massimo delle possibilità anche fisiche, coni corpi logorati dal peso degli anni ma sempre palestrati, allenati, ed impiegati fino in fondo.
Human Bodies a disposizione di storie lineari ma solide, da cinema classico, con il personaggio principale ad incarnare un primato morale e virtuoso che non ammette sfumature, e con lo stile espanso e fluido delle riprese long take, distanti dalle contrazioni sincopate e confuse così gradite ai filmaker contemporanei. Nel caso di “The Last Stand” poi c’erano di mezzo addirittura due capolavori western come “Rio Bravo” e “Quel treno per Yuma", con Ray Owens sceriffo della cittadina di Sommerton Junction costretto a fronteggiare un boss del narcotraffico, Gabriel Cortez, evaso dal carcere ed intenzionato a raggiungere il confine con il Messico a meno che Owens non lo impedisca. La contrapposizione tra bene e male come succede in questo tipo di film è netta e repentina. Così prima che tutto confluisca nella sconosciuta cittadina, con il testa a testa finale tra i due antagonisti, la storia vive di questa dicotomia. Inizialmente manifesta nell'accostamento tra una cupa Las Vegas dove è detenuto il criminale e la soleggiata Sommerton, in cui si è Owens si è ritirato per sfuggire alla corruzione metropolitana dei colleghi; successivamente nei modi, freddi ed analitici quelli dell'agente John Bannister (Forrest Withaker), improvvisati e dilettanteschi quelli dello sceriffo, alle prese con dei sottoposti per niente abituati al crimine (il massimo che può capitare a Sommerton è tirare giù un gatto dall'albero) ed a cui, quindi, deve fare da badante.
Ma è proprio la convergenza degli opposti, destinati ad incontrarsi quando l'azione criminale di Cortes si trasferirà a Sommerton, a provocare il cortocircuito tra action e comedy, con Schwarzenegger pienamente in sella ad un ruolo che non si prende mai sul serio - "vecchio" risponde il suo sceriffo, barcollante ed ammaccato al cittadino che nonostante l'evidenza gli chiede come sta - anche di fronte alla drammaticità degli eventi. Se lui è la star assoluta, non può sfuggire al cinefilo più attento l'anomalia di un regista come Jee Woon Kim (Bittersweet life, 2005 e I Saw The Devil, 2010), esordiente in un film americano ed autore di una regia che a parte qualche lampo si mantiene nascosta, attenta ad equilibrare il dinamismo ipercinetico della bagarre con l'understatement disincantato del protagonista. Una prima in punta di piedi ed in funzione di un progetto che piacerà soprattutto ai più nostalgici ed un pò meno alle nuove generazioni, incapaci per motivi anagrafici, di comprendere appieno il gioco di rimandi e decostruzione che uno Schwarzenegger con postura Eastwoodiana scontinua ad applicare al suo mito cinematografico.
di Kim Ji woon
con Arnold Schwarzenegger, Eduardo Noriega, Forrest Withaker
Usa 2013
durata, 107
Accanto all'action tecnologica prelevata dai videogiochi ed a quella cablata sulle immagini di sintesi si sta affiancando con consapevolezza ancora incerta un alternativa che sembra avere per modello un tipo di cinema targato anni 80. "Jack Reacher", prossimamente "Bullet To the Head", ed oggi questo "The Last Stand" sembrano riaffermare il primato di ciò che sta realmente davanti alla macchina da presa, rispetto a quello che invece vi figura in maniera virtuale. Spazio quindi ai divi di quella decade con Tom Cruise, Sylvester Stallone e per l'appunto Arnold Schwarzenegger impiegati al massimo delle possibilità anche fisiche, coni corpi logorati dal peso degli anni ma sempre palestrati, allenati, ed impiegati fino in fondo.
Human Bodies a disposizione di storie lineari ma solide, da cinema classico, con il personaggio principale ad incarnare un primato morale e virtuoso che non ammette sfumature, e con lo stile espanso e fluido delle riprese long take, distanti dalle contrazioni sincopate e confuse così gradite ai filmaker contemporanei. Nel caso di “The Last Stand” poi c’erano di mezzo addirittura due capolavori western come “Rio Bravo” e “Quel treno per Yuma", con Ray Owens sceriffo della cittadina di Sommerton Junction costretto a fronteggiare un boss del narcotraffico, Gabriel Cortez, evaso dal carcere ed intenzionato a raggiungere il confine con il Messico a meno che Owens non lo impedisca. La contrapposizione tra bene e male come succede in questo tipo di film è netta e repentina. Così prima che tutto confluisca nella sconosciuta cittadina, con il testa a testa finale tra i due antagonisti, la storia vive di questa dicotomia. Inizialmente manifesta nell'accostamento tra una cupa Las Vegas dove è detenuto il criminale e la soleggiata Sommerton, in cui si è Owens si è ritirato per sfuggire alla corruzione metropolitana dei colleghi; successivamente nei modi, freddi ed analitici quelli dell'agente John Bannister (Forrest Withaker), improvvisati e dilettanteschi quelli dello sceriffo, alle prese con dei sottoposti per niente abituati al crimine (il massimo che può capitare a Sommerton è tirare giù un gatto dall'albero) ed a cui, quindi, deve fare da badante.
Ma è proprio la convergenza degli opposti, destinati ad incontrarsi quando l'azione criminale di Cortes si trasferirà a Sommerton, a provocare il cortocircuito tra action e comedy, con Schwarzenegger pienamente in sella ad un ruolo che non si prende mai sul serio - "vecchio" risponde il suo sceriffo, barcollante ed ammaccato al cittadino che nonostante l'evidenza gli chiede come sta - anche di fronte alla drammaticità degli eventi. Se lui è la star assoluta, non può sfuggire al cinefilo più attento l'anomalia di un regista come Jee Woon Kim (Bittersweet life, 2005 e I Saw The Devil, 2010), esordiente in un film americano ed autore di una regia che a parte qualche lampo si mantiene nascosta, attenta ad equilibrare il dinamismo ipercinetico della bagarre con l'understatement disincantato del protagonista. Una prima in punta di piedi ed in funzione di un progetto che piacerà soprattutto ai più nostalgici ed un pò meno alle nuove generazioni, incapaci per motivi anagrafici, di comprendere appieno il gioco di rimandi e decostruzione che uno Schwarzenegger con postura Eastwoodiana scontinua ad applicare al suo mito cinematografico.
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