A ridosso della giornata mondiale contro la violenza sulle donne celebrata qualche giorno fa, "Just Like a Woman", il nuovo film di Rachid Bouchareb, potrebbe essere lo spot ideale per continuare a praticare un’idea di femminilità libera da condizionamenti fisici e psicologici. Il film infatti, ricalcando le orme di un prototipo come "Thelma e Louise" (1991), di cui per certi versi sembra una versione meno glamour, si sintonizza su un tema, quello dell'emancipazione femminile, ancora oggi ostaggio di un'incomunicabilità che, soprattutto nel cinema, fa da corredo alle nevrosi relative ali rapporto uomo/donna. In questo caso però, diversamente dalle eroine di Scott, la fuga di Marylin, moglie trascurata con una passione per la danza del ventre, e Mona, giovane araba disprezzata dalla suocera per la mancata gravidanza, più che ribellione è il frutto della disperazione, e di una presa di coscienza che ha bisogno di confrontarsi con l’esterno per giungere a compimento. Da qui la scelta di adottare una struttura "on the Road", da sempre specchio di metamorfosi interiori, e funzionale a fornire le aperture precedentemente negate dalla ristrettezza dei rispettivi schemi familiari. Sul piano pratico il regista Rachid Bouchareb trasforma la storia in un percorso di liberazione, in cui ogni singolo incontro - l'impresario concupiscente, la famiglia razzista e violenta, i nativi della riserva indiana - riesce a scolpire dei piccoli, grandi cambiamenti, e dove la geografia del territorio, con le stazioni di benzina sperdute nel nulla ed il cielo sagomato lungo il profilo dei Canyon finisce per corrispondere allo stato d'animo delle protagoniste.
Produttore impegnato (nella sua scuderia anche il prossimo ed atteso "Camile Claudel" di Bruno Dumont appena presentato alla berlinale) e regista di film attenti alla componente sociale (Uomini senza legge, 2010) Rachid Bouchareb riesce a far parlare le sue protagoniste con voce sincera. Ad aiutarlo la capacità di filmare gli ambienti con una realismo che esalta le emozioni di personaggi inseriti perfettamente nel paesaggio urbano e naturale, con campi medi e lunghi, volti a suggellare un privato, quello di Marylin e Mona, dialetticamente connesso con l'altrove che le circonda. Meno efficace risulta la traduzione dei contenuti (la maternità, l'incontro tra le culture) affidati a scene come quelle che ad esempio interessano il segmento in cui le due donne vengono confortate dalla comunità indiana, concepite all’insenga di un terzomondismo sempre bravo e comprensivo, e con una scrittura debole quando si tratta di delineare le psicologie dei caratteri di secondo piano. Cionondimeno "Just Like a Woman" mantiene intatta la sua empatia, grazie all'immedesimazione di due attrici, Sienna Miller e Golshifteh Farahani (About Elly, 2009) che esibiscono la loro bellezza all'interno di una performance di elegante sobrietà. Infine è curioso l’aneddotto che lega il film a Sienna Miller. “Just Like a Woman” è infatti anche il titolo di una canzone che Bob Dylan compose ispirandosi ad Edie Sedgwick, musa di Warhol ai tempi della Factory. Ma Edie Sedgwick rappresenta anche il primo ruolo da protagonista della Miller che la inepretò nel lungometraggio del 2006 intitolato "The Factory Girl".
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