Il ricco, il povero e il maggiordomo
di Aldo, Giovanni e Giacomo, Morgan Bertacca
con Aldo, Giovanni e Giacomo
Italia, 2014
genere, commedia
durata, 102'
Dopo diciassette anni di onorata carriera cinematografica e otto lungometraggi alle spalle, Aldo Giovanni e Giacomo tornano sul grande schermo con Il ricco il povero e il maggiordomo.
Era da quattro natali che il trio milanese lasciava a bocca asciutta i suoi ammiratori, fatto salvo per la pièce teatrale Ammutta Muddica e per un'interminabile serie di spot pubblicitari che li ha visti testimonial di una nota compagnia telefonica.
Forse la "pausa sabbatica" non ha contribuito a tenere i tre sotto allenamento, o forse vendersi alla televisione nella sua forma più becera, la pubblicità, non è esattamente quello che dovrebbe fare un buon comico, ma certo è che le aspettative dei fan non possono dirsi appagate dal loro ultimo lavoro.
Nel lontano 1997 l'approdo al cinema con Tre uomini e una gamba era stato un vero e proprio miracolo —oltre che di botteghino— di consensi fra pubblico e critica, grazie a sketch ben riusciti tali da distinguersi nel panorama comico italiano per una narrazione semplice e una sceneggiatura quasi abbozzata, in grado di esaltare la verve istrionica dei tre ed enfatizzare la portata comica della battuta.
Ora invece Aldo, Giovanni, Giacomo e Paolo Guerra (alla produzione), lungi dal cercare qualcosa di fresco e brioso, ripropongono sempre lo stesso repertorio in una vera e propria fiera del trito e ritrito, come era accaduto con La Banda dei babbi natali —inspiegabilmente campione d'incassi—.
Il film narra le vicende di tre individui di differente estrazione sociale (un ricco imprenditore senza scrupoli, un cinico maggiordomo e un semplice venditore abusivo col sogno d'ottenere la licenza) che, in un momento di grande difficoltà, si trovano d'improvviso a condividere la quotidianità aiutandosi a vicenda, come si conviene sia il plot di una bella storiella morale. Non occorre dilungarsi sulle evoluzioni psicologiche e caratteriali cui andranno incontro i personaggi, dato che ci troviamo di fronte all'eterno ritorno di temi e cliché tipici della produzione cinematografica degli ultimi anni, quando il buonismo e l'happy ending regnano sovrani.
Ciononostante, il tentativo di dispensare insegnamenti morali buonisti e bulimicamente sfruttati sotto Natale è inficiato anch'esso dalla mancata consapevolezza che i tempi e la natura delle gag in teatro sono profondamente diversi da quelli del grande schermo.
In Il ricco il povero e il maggiordomo, i tre non solo continuano a chiamarsi coi loro veri nomi, ma perpetrano anche nel ruolo che per anni hanno avuto, tanto che non c'è quasi bisogno di dire chi avrà la parte del cinico, chi del presuntuoso e chi del sempliciotto di buoni sentimenti. Oltre a questo espediente stilistico —forse apprezzabile per l'onestà intellettuale con cui i tre rinnovano il patto attore-spettatore—, a reiterarsi senza soluzione di continuità sono anche gag banali quanto ovvie (palline da golf che colpiscono astanti ignari, ciabatte che volano, dita e mani incastrate dove capita), che caratterizzano il prodotto per un certo appiattimento qualitativo e una papabile involuzione registico-attoriale.
Il generi e i centri propulsivi dell'azione si accavallano e sovrappongono in un accozzaglio che perde acqua da tutte le parti, creando un'infinità di sottostorie che si allontanano dal centro propulsivo della narrazione in un pericoloso moto centrifugo che travolge lo spettatore, incapace di restare ancorato a un qualche coerenza logica.
Il fine pare essere quello di portare a compimento una sorta di parabola morale che obbedisce all' imperativo dell' omnia vincit amor (anche al tempo della crisi).
Inutile dire come tutto questo sentimentalismo e buonismo natalizio sia già stato visto molte e forse troppe volte negli ultimi anni.
Se non altro la comicità che i tre propongono non è mai volgare o fastidiosa —specie se confrontata con gli schiaffi in faccia che la nostra commedia all'italiana riceve ogni anno in questo maledetto periodo—, ma comunque non riesce a stimolare. I tre paiono stanchi e sterili di idee, tanto da darsi al citazionismo, ma, si sa, come disse Guy Debord, le citazioni sono utili in periodi di ignoranza o di oscure credenze.
A salvare Il ricco il povero e il maggiordomo è forse la presenza di due grandi del teatro e del cinema italiano, Massimo Popozio e Giuliana Lojodice, nella parti rispettivamente di un padre parrocchiale e della madre di Aldo.
Erica Belluzzi
di Aldo, Giovanni e Giacomo, Morgan Bertacca
con Aldo, Giovanni e Giacomo
Italia, 2014
genere, commedia
durata, 102'
Era da quattro natali che il trio milanese lasciava a bocca asciutta i suoi ammiratori, fatto salvo per la pièce teatrale Ammutta Muddica e per un'interminabile serie di spot pubblicitari che li ha visti testimonial di una nota compagnia telefonica.
Forse la "pausa sabbatica" non ha contribuito a tenere i tre sotto allenamento, o forse vendersi alla televisione nella sua forma più becera, la pubblicità, non è esattamente quello che dovrebbe fare un buon comico, ma certo è che le aspettative dei fan non possono dirsi appagate dal loro ultimo lavoro.
Nel lontano 1997 l'approdo al cinema con Tre uomini e una gamba era stato un vero e proprio miracolo —oltre che di botteghino— di consensi fra pubblico e critica, grazie a sketch ben riusciti tali da distinguersi nel panorama comico italiano per una narrazione semplice e una sceneggiatura quasi abbozzata, in grado di esaltare la verve istrionica dei tre ed enfatizzare la portata comica della battuta.
Ora invece Aldo, Giovanni, Giacomo e Paolo Guerra (alla produzione), lungi dal cercare qualcosa di fresco e brioso, ripropongono sempre lo stesso repertorio in una vera e propria fiera del trito e ritrito, come era accaduto con La Banda dei babbi natali —inspiegabilmente campione d'incassi—.
Il film narra le vicende di tre individui di differente estrazione sociale (un ricco imprenditore senza scrupoli, un cinico maggiordomo e un semplice venditore abusivo col sogno d'ottenere la licenza) che, in un momento di grande difficoltà, si trovano d'improvviso a condividere la quotidianità aiutandosi a vicenda, come si conviene sia il plot di una bella storiella morale. Non occorre dilungarsi sulle evoluzioni psicologiche e caratteriali cui andranno incontro i personaggi, dato che ci troviamo di fronte all'eterno ritorno di temi e cliché tipici della produzione cinematografica degli ultimi anni, quando il buonismo e l'happy ending regnano sovrani.
Ciononostante, il tentativo di dispensare insegnamenti morali buonisti e bulimicamente sfruttati sotto Natale è inficiato anch'esso dalla mancata consapevolezza che i tempi e la natura delle gag in teatro sono profondamente diversi da quelli del grande schermo.
In Il ricco il povero e il maggiordomo, i tre non solo continuano a chiamarsi coi loro veri nomi, ma perpetrano anche nel ruolo che per anni hanno avuto, tanto che non c'è quasi bisogno di dire chi avrà la parte del cinico, chi del presuntuoso e chi del sempliciotto di buoni sentimenti. Oltre a questo espediente stilistico —forse apprezzabile per l'onestà intellettuale con cui i tre rinnovano il patto attore-spettatore—, a reiterarsi senza soluzione di continuità sono anche gag banali quanto ovvie (palline da golf che colpiscono astanti ignari, ciabatte che volano, dita e mani incastrate dove capita), che caratterizzano il prodotto per un certo appiattimento qualitativo e una papabile involuzione registico-attoriale.
Il generi e i centri propulsivi dell'azione si accavallano e sovrappongono in un accozzaglio che perde acqua da tutte le parti, creando un'infinità di sottostorie che si allontanano dal centro propulsivo della narrazione in un pericoloso moto centrifugo che travolge lo spettatore, incapace di restare ancorato a un qualche coerenza logica.
Il fine pare essere quello di portare a compimento una sorta di parabola morale che obbedisce all' imperativo dell' omnia vincit amor (anche al tempo della crisi).
Inutile dire come tutto questo sentimentalismo e buonismo natalizio sia già stato visto molte e forse troppe volte negli ultimi anni.
Se non altro la comicità che i tre propongono non è mai volgare o fastidiosa —specie se confrontata con gli schiaffi in faccia che la nostra commedia all'italiana riceve ogni anno in questo maledetto periodo—, ma comunque non riesce a stimolare. I tre paiono stanchi e sterili di idee, tanto da darsi al citazionismo, ma, si sa, come disse Guy Debord, le citazioni sono utili in periodi di ignoranza o di oscure credenze.
A salvare Il ricco il povero e il maggiordomo è forse la presenza di due grandi del teatro e del cinema italiano, Massimo Popozio e Giuliana Lojodice, nella parti rispettivamente di un padre parrocchiale e della madre di Aldo.
Erica Belluzzi
1 commento:
concordo pienamente
se non ci fossero Popolizio e la Lojodice il film sarebbe da buttare
Posta un commento