Louisiana (The Other Side)
di Roberto Minervini
con Mark Keeley, Lisa Allen, James Lee Miller
Italia, Francia 2015
genere, documentario
durata, 92'
-->
di Roberto Minervini
con Mark Keeley, Lisa Allen, James Lee Miller
Italia, Francia 2015
genere, documentario
durata, 92'
Tutto il cinema di Roberto Minervini nasce all’insegna di
un’estraneità a cui, in diversa misura, concorrono molti fattori. In primo
luogo, la scelta di lasciare l’Italia per cercare di offrirsi possibilità che
il nostro paese gli aveva precluso; successivamente, la decisione di
specializzarsi in un genere, il documentario, tanto innovativo quanto difficile
dal punto di vista commerciale. Infine, ed è la cosa che ci sta più a cuore e
che ci permette di entrare nel vivo della questione, la predilezione di contenuti,
che di per sé, costituiscono quanto di più distante possa esistere rispetto al
modello di sogno americano che ci è stato tramandato. “Louisiana” infatti
racconta gli Stati Uniti attraverso due gruppi umani che seppur apparentemente
differenti testimoniano altrettanti esempi di marginalità. Perché sia Mark che
entra ed esce dalla galera e con piccoli espedienti si procura la droga
necessaria a “farsi” che il gruppo paramilitare pronto ad addestrarsi per
difendere la comunità dall’attacco di un fantomatico nemico sono lo specchio di
una schizofrenia sociale che rappresenta in eguale misura il buco nero di un
sistema di governo e di un presidente - chiamato più volte in causa dai
protagonisti - che ha tradito le promesse della campagna elettorale. Pur in un
flusso continuo di immagini che rimane una delle caratteristiche principali
della sua messinscena, Minervini divide il racconto in tre momenti che si
riflettono uno dentro l'altro a delineare una dimensione che è insieme
antropologica - con il pedinamento di Mark, drug dealer che soddisfa i bisogni
personali e quelli di una famiglia variegata e composita che è allineata sulle
sue stesse dipendenze - ed emotiva - quando prende in considerazione le
reazioni, ora rabbiose, di chi si rivolta con violenza all'orrore del
quotidiano, ora sommesse, di chi non ha più la forza di ribellarsi alle
angherie del presente - in un continuum narrativo solo apparentemente incongruo
(visto lo sbilanciamento del minutaggio dedicato per la maggior parte alle
vicissitudini di Mark), e invece strutturato nelle sua antitesi interna per
restituire la dimensione di violenza gratuita in cui sono immersi i personaggi
del film.
"Esule tra gli esuli" - e qui entra di nuovo in
gioco l'estraneità di cui parlavamo all'inizio - Minervini grazie a uno sguardo
che si fa parte integrante della realtà che descrive, si tiene lontano dai
rischi del reportage "antropologico" così come dalla tentazione di
organizzare un'apologia pauperista. Al contario, operando uno scarto emotivo che
tiene in considerazione il degrado delle condizioni ambientali e il peso che
esse comportano nelle esistenze dei personaggi, trova un filo di speranza
laddove sembrerebbe non essercene più. Partendo, infatti, dalla materia nuda e
cruda, che in questo caso "Louisiana" individua in una costante
ricerca di intimità fisica - di Mark e Lisa, amanti e compagni di sventura ma
anche degli altri famigliari che l'uomo accudisce con una presenza tenera e
materna - Minervini arriva nelle profondità dell'animo umano e gli da voce con
una poetica vissuta a fior di pelle: tanto negli inserti in cui la disperazione
sembra prendere il sopravvento e un ago infilato nella carne diventa l'unica
via di fuga, quanto nei rari momenti di tregua, dove la salvezza del mondo
dipende dalla dolcezza di un abbraccio inaspettato. In questo senso
"Louisiana " affermando il primato del corpo come collettore delle
dipendenze materiali e affettive e restituedolo ai suoi naturali detentori,
stabilisce nuove gerarchie (con la decisione di Mark di tornare in prigione per
disintossicarsi una volta per tutte) e risarcisce, seppur in parte, quel mondo
della dignità che gli era stata precedentemente sottratta.
In scia con la migliore tradizione di quel documentario
italiano che a partire dai lungometraggi di Pietro Marcello ("Il passaggio
della linea" e soprattutto "La bocca del lupo") ha ridefinito la
forma di un genere che nel caso di "Louisiana" fatica a restare
all'interno di categorie prestabilite per una fluidità narrativa che fa invidia
al racconto di finzione, Roberto Minervini continua ad esplorare il volto
oscuro dell'America secondo le caratteristiche che gli sono note. A fronte di
un lirismo che alla pari di "Stop the Pounding Heart" deve molto a un
senso panico della vita (ancora una volta la natura è insieme madre e
matrigna), di "Lousiana" colpisce soprattutto la qualità di un cinema
che nella ricerca di verità e di coinvolgimento riesce a restare saldo nella
purezza del suo sguardo. E che fa del suo essere produttivamente minoritario il
suo punto di forza, portando sullo schermo il rimosso della nostra presunta
civiltà.
(pubblicato su ondacinema.it)
Nessun commento:
Posta un commento