Una storia sbagliata
di Gialuca Maria Tavarelli
con Isabella Ragonese, Francesco Scianna
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 109'
Si discute spesso dei mali del cinema italiano e della sua cronica incapacità di raccontare il proprio tempo. Spesso le ragioni del misfatto sono individuate in una genesi produttiva affidata al talento dei singoli anziché a un sistema capace di fare sistema e quindi di stimolare uno sguardo più coraggioso nei confronti della realtà contemporanea. Forse però alcuni dei motivi vanno ricercati a monte e magari trovati in una mentalità che fatica a scrollarsi di dosso i fantasmi di vecchie ideologie e di quei pregiudizi che sono frutto di una mancata conoscenza.
"Una storia sbagliata" di Gianluca Maria Tavarelli, al di là del suo valore intrinseco ci offre l'opportunità di approfondire la questione; perché, accanto alla tormentata storia d'amore tra Stefania e Roberto che costituisce il fulcro della narrazione, si profila il dramma della guerra che diventa protagonista (seppur fuori campo) quando Roberto, che di mestiere fa il soldato di professione, viene chiamato a combatterla e quindi a partire per il fronte, lasciandosi dietro l'amore per una moglie destinata a perderlo per sempre. Detto che la vicenda è raccontata attraverso gli occhi e i ricordi di Stefania, nel frattempo impegnata a ricercare il senso di quella perdita sui luoghi del terribile delitto - con il lavoro di infermiera presso una ONG impegnata sul campo che gli fornisce l'alibi per cercare di contattare i parenti del kamikaze autore dell'attentato - "Una storia sbagliata" ha dalla sua il merito di affrontare un tema "complicato" e "pericoloso" per i rischi di esposizione conseguenti a una materia incandescente e poco praticata come quella riguardante l'impiego dei soldati italiani nelle varie missioni militari attualmente in atto in differenti parti del globo.
Nel farlo Tavarelli, regista che negli anni novanta era stato capace come pochi altri di rappresentare la fragilità al maschile ("Portami via", "Un amore" e "Qui non è il paradiso") ci mette soprattutto una sensibilità, ancora una volta in grado di sondare i moti dell'anima con il pudore di chi vuol bene ai personaggi e alle storie raccontate. A riguardo si potrebbe citare la scelta di far emergere il dolore di Francesca ricavandolo dallo sguardo spento dei suoi occhi piuttosto che dallo strazio urlato di un certo tipo di scene madri; oppure, soffermarsi, nel corso della visione, sui dubbi e sulle paure di Roberto, vittima sacrificale che Tavarelli tratteggia con squarci di profonda umanità e senza - per nostra fortuna - alcuna retorica superomistica.
Meriti che però, devono confrontarsi con una scrittura troppo timida quando si tratta di entrare nel merito "politico" della questione e dare senso a un cambiamento storico e sociale che, nel passaggio dall'esercito di leva, impegnato ad addestrarsi e quello di professione, impegnato a non morire, ha sottratto il militare italiano alle atmosfere goliardiche e boccaccesche dei film degli anni settanta, per consegnarlo ad una dimensione drammatica che il nostro cinema fatica a esplorare. In questo senso "Una storia sbagliata" conferma la tendenza. Forse per timore di schierarsi, rispetto a una questione su cui ancora ci si divide, Tavarelli preferisce girare a largo dal cuore del problema: dapprima raccontandolo in maniera indiretta, con la decisione di affidarsi al resoconto di Stefania, che offre un punto di vista partecipe ma anche esterno rispetto ai fatti raccontati, e con il tormento di Roberto ridotto a frasi sin troppo esemplari. E poi enfatizzando gli aspetti più facili e ci sentiamo di dire "ecumenici" della vicenda, delegando il messaggio dell'intera operazione all'uguaglianza tra le genti, vittime e carnefici allo stessa maniera delle storture del mondo. Un deja vu tanto scontato quanto paradossale rispetto alle caratteristiche di novità insite nell'argomento del film. Per non parlare della sensazione di incompletezza, legittimata dalla scena finale, quella in cui Stefania, all'apice del suo dolore, tocca con mano e per interposta persona le cause della terribile tragedia. Trovate, ancora una volta, lontano dalle voci che danno vita alla storia. A ribadire quanto sia più facile rivolgersi agli altri piuttosto che imparare a guardarsi dentro.
(pubblicata su ondacinema.it)
di Gialuca Maria Tavarelli
con Isabella Ragonese, Francesco Scianna
Italia, 2015
genere, drammatico
durata, 109'
Si discute spesso dei mali del cinema italiano e della sua cronica incapacità di raccontare il proprio tempo. Spesso le ragioni del misfatto sono individuate in una genesi produttiva affidata al talento dei singoli anziché a un sistema capace di fare sistema e quindi di stimolare uno sguardo più coraggioso nei confronti della realtà contemporanea. Forse però alcuni dei motivi vanno ricercati a monte e magari trovati in una mentalità che fatica a scrollarsi di dosso i fantasmi di vecchie ideologie e di quei pregiudizi che sono frutto di una mancata conoscenza.
"Una storia sbagliata" di Gianluca Maria Tavarelli, al di là del suo valore intrinseco ci offre l'opportunità di approfondire la questione; perché, accanto alla tormentata storia d'amore tra Stefania e Roberto che costituisce il fulcro della narrazione, si profila il dramma della guerra che diventa protagonista (seppur fuori campo) quando Roberto, che di mestiere fa il soldato di professione, viene chiamato a combatterla e quindi a partire per il fronte, lasciandosi dietro l'amore per una moglie destinata a perderlo per sempre. Detto che la vicenda è raccontata attraverso gli occhi e i ricordi di Stefania, nel frattempo impegnata a ricercare il senso di quella perdita sui luoghi del terribile delitto - con il lavoro di infermiera presso una ONG impegnata sul campo che gli fornisce l'alibi per cercare di contattare i parenti del kamikaze autore dell'attentato - "Una storia sbagliata" ha dalla sua il merito di affrontare un tema "complicato" e "pericoloso" per i rischi di esposizione conseguenti a una materia incandescente e poco praticata come quella riguardante l'impiego dei soldati italiani nelle varie missioni militari attualmente in atto in differenti parti del globo.
Nel farlo Tavarelli, regista che negli anni novanta era stato capace come pochi altri di rappresentare la fragilità al maschile ("Portami via", "Un amore" e "Qui non è il paradiso") ci mette soprattutto una sensibilità, ancora una volta in grado di sondare i moti dell'anima con il pudore di chi vuol bene ai personaggi e alle storie raccontate. A riguardo si potrebbe citare la scelta di far emergere il dolore di Francesca ricavandolo dallo sguardo spento dei suoi occhi piuttosto che dallo strazio urlato di un certo tipo di scene madri; oppure, soffermarsi, nel corso della visione, sui dubbi e sulle paure di Roberto, vittima sacrificale che Tavarelli tratteggia con squarci di profonda umanità e senza - per nostra fortuna - alcuna retorica superomistica.
Meriti che però, devono confrontarsi con una scrittura troppo timida quando si tratta di entrare nel merito "politico" della questione e dare senso a un cambiamento storico e sociale che, nel passaggio dall'esercito di leva, impegnato ad addestrarsi e quello di professione, impegnato a non morire, ha sottratto il militare italiano alle atmosfere goliardiche e boccaccesche dei film degli anni settanta, per consegnarlo ad una dimensione drammatica che il nostro cinema fatica a esplorare. In questo senso "Una storia sbagliata" conferma la tendenza. Forse per timore di schierarsi, rispetto a una questione su cui ancora ci si divide, Tavarelli preferisce girare a largo dal cuore del problema: dapprima raccontandolo in maniera indiretta, con la decisione di affidarsi al resoconto di Stefania, che offre un punto di vista partecipe ma anche esterno rispetto ai fatti raccontati, e con il tormento di Roberto ridotto a frasi sin troppo esemplari. E poi enfatizzando gli aspetti più facili e ci sentiamo di dire "ecumenici" della vicenda, delegando il messaggio dell'intera operazione all'uguaglianza tra le genti, vittime e carnefici allo stessa maniera delle storture del mondo. Un deja vu tanto scontato quanto paradossale rispetto alle caratteristiche di novità insite nell'argomento del film. Per non parlare della sensazione di incompletezza, legittimata dalla scena finale, quella in cui Stefania, all'apice del suo dolore, tocca con mano e per interposta persona le cause della terribile tragedia. Trovate, ancora una volta, lontano dalle voci che danno vita alla storia. A ribadire quanto sia più facile rivolgersi agli altri piuttosto che imparare a guardarsi dentro.
(pubblicata su ondacinema.it)
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