Suite Francese
di Saul Dibb
con Khristin Scott Thomas, Matthias Shoenaerts, Michelle Williams
Gran Bretagna, Francia, Canada, 2015
genere, drammatico
durata, 107'
Considerando che Suite Francese è solo il terzo
lungometraggio per il grande schermo, possiamo ben credere che Saul Dibb abbia
molto da dare al panorama cinematografico internazionale.
Il regista di Bullett Boy e The Duchess ha infatti accettato una sfida non facile: portare sul
grande schermo il romanzo pentapartito di Irene Nemirovisky, incompiuto a causa
della morte prematura della scrittrice ebrea, avvenuta a soli trentanove anni
ad Auschwitz.
La fortuna
letteraria dell’opera è in gran parte riconducile alle rocambolesche vicende
cui andò incontro: dimenticata dalle figlie –che credevano si trattasse di
diari intimi della madre–, venne riscoperta nella sua grandezza letteraria e
storica più di sessantacinque anni dopo la scomparsa dell’autrice.
Il titolo fornisce
una proficua chiave di lettura tematica e strutturale con l’omonima composizione
bachiana: come in questo caso infatti, l’opera è composta da più pezzi autonomi,
in una gradevole altalena di toni e umori.
Se per quanto
concerne i celebri componimenti musicali, la specificazione di “francese” è
totalmente aleatoria –dal momento che le suite bachiane non rispettano i canoni
della produzione clavicembalistica del diciottesimo secolo francese–, allo
stesso modo lo spettatore farà fatica a rinvenire nell’opera di Dibb un qualche
retaggio della filmografia francofona.
Dell’originale e
complessa trama di storie progettata dalla Nemirovsky, è stato elaborato un
fine mosaico compositivo, costituito interponendo l’inizio della prima novella
- Tempête en juin (Tempesta in giugno) - al centro narrativo della seconda, Dolce.
L’abbandono di
Parigi all’inizio del giugno 1940 da parte della popolazione sconvolta dai
bombardamenti, fa da cornice alla storia d’amore tra Lucile (Michelle
Williams), una giovane nobile francese che vive a Bussy insieme alla suocera (Kristin
Scott Thomas), e il giovane ufficiale tedesco Bruno Von Falk (Matthias
Schoenaerts).
Interpretata con
la tipica verve altezzosa della
Thomas, Madame Angellier è una ricca proprietaria terriera che passa le
giornate a tiranneggiare i suoi inquilini e la mite nuora.
Come la
caratterizzazione dell’anziana possidente andrà incontro a piacevoli evoluzioni
–evitando così che a un personaggio sia irrimediabilmente associato un vizio o
una virtù–, anche la psicologia dei militari tedeschi che occupano Bussy, non
cade nel clichè o nell’allettante luogo
comune.
Ecco dunque che
personaggi che inizialmente sono una cosa sola emergono nelle loro sfumature, e
ciascuno pare essere altro da ciò che desidera: così come il giovane ufficiale
si diletta in componimenti pianistici e mal digerisce i ritmi della guerra, la
giovane eroina si sente a disagio nei panni della ricca senza-cuore.
Vari temi
attraversano l’opera –la compassione, la collaborazione, la corsa ai tradimenti–,
ma la guerra, seppure sia il motore scatenante dell’azione, resta un lontano
rumore di sottofondo.
Centro nevralgico
della vicenda è infatti l’amore proibito tra Lucile e il giovane tedesco.
L’affaire amoroso segue un corso
prevedibile, inutilmente sottolineato dal voice-over
della protagonista.
Oltre alla voce
narrante un altro problema da cui l’opera non può dirsi esente, è una certa superficialità
nel ritratto delle varie figure che popolano Bussy: alla qualità della
caratterizzazione viene spesso privilegiata la quantità dei personaggi che una
vicenda corale consente di immettere.
L’opera ritrova
tuttavia una sua armonia, specie grazie all’ottima recitazione degli interpreti,
e all’ironia con cui viene descritto l’atteggiamento degli occupati nei
confronti dei nuovi padroni.
Erica Belluzzi
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