Bella addormentata
di Marco Bellocchio
con Toni Servillo, Isabelle Hupper, Alba Rorhwacher, Maya Sansa, Roberto Herlitzka
Italia, 2012
genere, drammatico
durata, 110'
di Marco Bellocchio
con Toni Servillo, Isabelle Hupper, Alba Rorhwacher, Maya Sansa, Roberto Herlitzka
Italia, 2012
genere, drammatico
durata, 110'
Siamo sicuri che a Marco Bellocchio sarà venuto più di un
dubbio rispetto all’unanimità di consensi ricevuti al festival di Venezia in
occasione della presentazione nel concorso ufficiale del suo “Bella
addormentata” ispirato alle vicende di Eluana Englaro ed al tema dell’eutanasia
che pochi anni fa scosse e divise
l’opinione pubblica del nostro paese. La considerazione è lecita se pensiamo
all’autobiografia ed alla carriera artistica di un uomo difficilmente
catalogabile, avulso dalle parti e per questo considerato scomodo da qualunque
schieramento politico ed ideologico. Una diversità che si è riversata sul cinema
producendo film memorabili ed anche opere meno considerate perché troppo legate
a questioni personali come quella della psicanalisi a cui il regista si
sottopose e dalla quale fu così influenzato da promuovere il suo psichiatra a
sceneggiatore dei suoi film (il medico Massimo Fagioli per questo fu accusato
addirittura di plagio nei confronti del regista). Era il periodo di titoli
scandalosi come “Il diavolo in corpo”(1986) oppure altamente criptici come “Il
sogno della farfalla” (1994). Comunque la si voglia mettere queste opere erano
lo specchio di un’artista che nel raccontare e nel raccontarsi non ha mai
smesso di mettersi in gioco e di rischiare in prima persona con polemiche
spesso aspre e prese di posizioni anche astiose alle quali ha risposto sempre e solo con la
potenza del suo cinema.
E’ quindi singolare, per tornare al discorso iniziale il
fatto di assistere ad una compattezza di giudizio, dei critici come del
pubblico, e tutto sommato alla mancanza di un dibattito acceso intorno alle
questioni sollevate dall’ultimo film del regista, che diciamo subito pur
elevandosi dalla massa non è il suo film migliore. Nel provare a trovare la
ragione di queste affermazioni è necessario prendere in considerazione alcuni
aspetti della contemporaneità italiana con cui il film di Bellocchio si deve
confrontare: innanzitutto il senso di sfiducia nei confronti dei massimi
sistemi (politica e religione in testa) e poi un attesa quasi messianica verso
qualcuno o qualcosa capace di colmare la sensazione di smarrimento generale
verso una realtà indecifrabile e fraudolenta. E' quindi logico dire che dal
punto di vista cinematografico l’epifania del regista piacentino che affronta
la dicotomia vita/morte senza fare sconti a nessuno ma riuscendone comunque a
ricavare un messaggio di speranza
e d’amore – simbolicamente Bellocchio metterà in corrispondenza la morte di
Eluana con il risveglio alla vita di Rossa, la bella addormentata del titolo –
era la medicina giusta per curare le ferite, e l'artista un salvatore della
patria austero e rigoroso, adatto alla situazione del momento. Se invece ci
caliamo in un discorso prettamente tecnico le cose diventano più complesse. Lo
sono i temi messi in campo, che infatti si traducono in una storia collettiva
con vicende e personaggi che si muovono sullo sfondo dell'italia infuocata dal
caso Englaro. Lo diventano le loro azioni mosse da pulsioni ed esperienze che
nella contrapposizioni dei punti di vista e nella condivisione di un esperienza
che per alcuni è la stessa di quella della famiglia Englaro riescono ad andare
oltre la cronaca per mettere in scena il subconscio di una nazione.
Una sfida quella di Bellocchio che si serve di un apparato
visuale capace di creare una spazio di mediazione tra narrazione e realtà, in
cui l'alternanza dei toni - ora calmo e misurato altre volte frenetico e
schizoide - e dello stile- onirico ed iperreale - riesce a bucare l'apparenza
per arrivare al cuore del problema. Dalle sequenze d’apertura invase
dall’apparato mediatico e dai bollettini d’informazione che rigurgitano la
storia in una cronaca da reality show si passa quasi subito ad una dimensione
intima e personale in cui anche la presenza del mondo esterno, con le sue date
e le sue scadenze rimane sempre un passo indietro rispetto all'elemento umano.
Uno scarto che nella differenza tra pubblico e privato appartiene anche ai
personaggi il cui ruolo ufficiale è messo in secondo piano, o cessa di esistere
rispetto all’urgenza dell’esistenza: è così per il politico che pensa da uomo e
non da collega di partito, dell’attrice che ritorna ad essere madre rinunciando
alla carriera, della militanza di una figlia che quando si tratta di
innamorarsi non si lascia condizionare dalle proprie convinzioni, del dottore
che smette di essere tale (la scienza non può fare nulla per chi da deciso di
morire) per curare la propria
paziente con la medicina dell’amore e della perseveranza. C’è nel film di
Bellocchio una sorta di supremazia dell’individuo che va oltre il caso
specifico - il diritto di Eluana a rinunciare alla sua condizione vegetativa -
ma che si allarga all’intero spettro dell’esistenza. Un ricominciare da se
stessi e dai propri affetti, diremo quasi un ritorno alla famiglia presente
nell’epilogo di tutte le microstorie di “Bella addormentata”, che è il
controaltare all’incapacità di chi ci avrebbe dovuto prendersi cura di noi: la
politica innanzitutto, depressa e deprimente nella sequenze da psicodramma che
coinvolgono il personaggio di Roberto Herlitzka, uno psicologo che dispensa
calmanti ed epitaffi, ed in parte la Chiesa, colta più come apparato di
funzioni e liturgie che come dispensatrice di misericordia ed empatia. A
ricordarcelo il prete manipolato dall’attrice e ridotto a mera presenza istituzionale, e poi le suore che
accompagnano le preghiere di suffragio della donna a favore della figlia: svuotate di qualsiasi umanità si
muovono a comando con una gestualità meccanica al limite del ridicolo.
E’ da queste considerazioni che nascono immagini come quella
di Tony Servillo ripetutamente inglobato all’interno dei maxi schermi in cui
Berlusconi, corpo mediatico in maniera similare a quello del Mussolini di
“Vincere”, si mangia letteralmente la nostra libertà, oppure nella pietà che si
tramuta in una sindone laica con il fazzoletto bianco che nelle mani di Michele
Riondino si posa sul volto bagnato di Alba Rohrwacher per asciugarlo dall’acqua
e nello stesso tempo, con uno slittamento di senso di cui il cinema di
Bellocchio è pieno, per rendere il senso del rapporto che si sta instaurando
tra i due personaggi, oppure nella sequenza dell’ospedale in cui l’improvvisa
reazione di un uomo che getta per aria le lenzuola degli altri pazienti diventa
il presagio di un cambiamento che metterà letteralmente a nudo le vite dei
protagonisti. Visioni che non avrebbero bisogno d’altro e che invece nella
seconda parte si appesantiscono con un eccesso di parole che in certi momenti
risulta persino didascalico, non all’altezza della forma di cui si fregia tutta
l’opera. In un film senza scandali a cui nonostante tutto Bellocchio ci aveva
da sempre abituato (ma il tempo presente è già di per se scandaloso), e che
tutto sommato è abbastanza clemente nei confronti del potere costituito è
questo il maggior peccato del regista insieme ad un equilibrio interno che la
suddivisione in quattro segmenti narrativi non sempre riesce ad assicurare.
Grandi le prove attoriali tra cui
ci piace ricordare quella strepitosa di Pier Giorgio Bellocchio nella parte del
dottore. La sua maschera di sofferenza e di determinazione meriterebbe
sicuramente una menzione.
Questa sera in onda su RAI 5 alle ore 21,15
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