venerdì, ottobre 14, 2016

FESTA DEL CINEMA DI ROMA: LAYLA M.

Layla M
di, Mijke de Jong
con, Nora El Koussour, Ilias Addab
Germania, 2016
durata, 95'


Ne uccide più la lira che la spada, diceva il poeta. Oggi non lo direbbe più, non foss'altro perché con uno degli imprevedibili avvitamenti che caratterizzano la nostra epoca di transizione, s'è portata a compimento la non semplice impresa di saldare in un tutt'uno poco rassicurante gli estremi dell'appena citato adagio, con conseguenze che fin troppo bene abbiamo imparato a conoscere. A dire: ciò a cui nello specifico abbiamo assistito è stata la progressiva diluizione di una dottrina (nel caso, l'interpretazione più intransigente di quella islamica) in una strategia di tipo militare (la cosiddetta jihad o guerra santa), secondo un vero proprio rapporto di sussidiarietà all'interno del quale ogni elemento sostenta e giustifica l'altro.

Di tale aspra e, al momento, irresolubile contraddizione, saggia il sapore anche la giovane Layla M(ourabit)/El Koussour, ultimo anno di liceo ad Amsterdam, marocchina, seconda generazione d'immigrati, ragazza sveglia e inquieta che, alle difficoltà d'integrazione in un paese diverso per usi e tradizioni, reagisce più d'insofferenza che di raziocinio risalendo, in solitaria e contro il più possibilista atteggiamento familiare, i sentieri delle proprie origini fino alle sorgenti agitate di quel cosiddetto radicalismo che mescola (e non di rado manipola) generici revanscismi anti-occidentali; lasciti controversi della mai del tutto metabolizzata decolonizzazione; sacrosante istanze legate al rispetto del proprio modo d'essere e della propria cultura; ribellismi tardo adolescenziali in cerca di consoni campi d'applicazione o di chiari feticci da abbattere: risposte e strumenti accettabili da un mondo - quello d'adozione ma pure quello di provenienza - che più sembra coinvolgere il singolo, più in realtà spesso si dimostra sordo ai suoi appelli.


Al di là delle retoriche contrapposte - quella occidentale che chiede, quasi come nulla fosse, la rinuncia o il sostanziale ridimensionamento dell'individualità personale come contropartita al moderno patto sociale, ossia, a stringere, l'accesso ai consumi; quella dei sedicenti guerrieri di Dio che postulano, con l'eliminazione fisica di qualunque interlocutore che non si conformi ad una lettura testuale rigida e prescrittiva in molti ambiti della vita del singolo del messaggio di fede, l'avvento di una nuova era sulla Terra - il lavoro di Mijke risulta interessante, quantunque convenzionale nella messinscena, per l'indubbia (e simbolica) centralità affidata alla figura di Layla, donna, giovane, intelligente, caparbia ma libera nel cuore come a volte solo l'altra-metà-del-cielo sa essere, capace cioè di abbandonare le relative certezze acquisite (un tenore di vita decoroso, un agognato futuro da medico) per un amore (Abdullah detto Abdul/Addab, coetaneo già dedito alla causa nei panni di operatore per video propagandistici da diffondere in Rete) e un ideale di purezza ed equità che stenta a riconoscere o vede di continuo oltraggiato in un quotidiano superficiale e indifferente, salvo far prevalere, al momento di toccare con mano la torsione perversa che vuole imporre il sacrificio contro ogni ipotesi di avvicinamento, di composizione dei conflitti, la scommessa di una possibilità futura, sebbene tale scarto non eluda il dolore, insinuando uno sgomento ansioso sul suo viso bello e fiero ["What'll you do when you get lonely (Layla) ?"].
TFK

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