sabato, ottobre 01, 2016

THE ASSASSIN

"The assassin"/"Nie Yin-niang".
di, Hou Hsiao-hsien.
con, Shu Qi, Chang Chen, Ni Da-Hong, Yong Mei, Zhou Yun, Tsumabuki Satoshi.
Taiwan/Cina/Hong Kong/Fra 2015 -
durata, 105'



Tutte le strade significative, oltreché contraddittorie, sono impervie. A maggior ragione quelle del mèlo - nel caso, di matrice marziale - disegnate perlopiù al modo di linee che si sovrappongono e si confondono alle esistenze di coloro che le percorrono, al punto di modificarne non tanto e non solo convinzioni e consuetudini ma il senso stesso del peregrinare attraverso le vicende terrene.

Stavolta ci troviamo, per opera del cino-taiwanese Hou Hsiao-hsien, nella Cina del periodo Tang, intorno all'ottavo secolo, evo travagliato e gravido di tensioni, in particolare quelle che si originano per le incompatibilità tra le istanze di alcune province e il richiamo all'ordine della Corte Imperiale. Proprio il territorio di Weibo, amministrato dal giovane Governatore Tian Ji'an/Chang Chen si trova la centro di contrasti e di trame mano mano concretizzate nel progetto di eliminarlo per mano di (Nie) Yin-niang/Shu Qi, bella, letale (e pressoché silente) Maestro di Spada, cugina e, a suo tempo, sposa promessa, la quale, ligia alla disciplina del suo rango come impossibilitata ad eludere l'ordine ricevuto, cerca un complicato equilibrio tra la perentorietà del codice cui ha aderito e la suggestione insopprimibile di pulsioni che l'avvicendarsi dei giorni non è riuscito del tutto a scalfire...

"La tua abilità è ineguagliabile ma la tua mente è ostaggio dei sentimenti". Entro i confini incerti di questa laconica sentenza, HHh tratteggia un progressivo itinerario di avvicinamento e di accettazione della solitudine come pegno da pagare da parte di coloro che hanno fatto del rigore nella dispersione quotidiana e della tenace conservazione di una dimensione spirituale intransigente ma aperta all'Altro, il fulcro attorno al quale far ruotare le proprie esistenze. Yin-niang si muove, alla ricerca di un ubi consistam dirimente in apparenza rappresentato dalla missione omicida da compiere, come il fantasma di un desiderio inappagato perché allo stesso tempo tradito e superato dalla banalità delle contingenze, le solite - retaggi inamovibili, sotterfugi, accordi sempre reversibili, menzogne, viltà, complotti con aggiunta di sortilegi - a cui la Morte stessa sembra concedere solo la tregua necessaria a riproporsi in forme sempre più esplicite e perverse. Anche da qui lo smarrimento, l'attesa vana, la malinconia attonita di brevi e mute ellissi, d'inquadrature semi-inerti e curatissime, costruite con un meticoloso senso del dettaglio (negli interni, volumi netti stagliati su fondali dalle tinte vivide e dalle molteplici trame; negli esterni, elementi naturali colti nel fulgore o nel trapasso di una stagione che sbiadisce, quasi inavvertita, nelle distanze ai margini del visibile, mentre, tanto nei primi quanto nei secondi, un vento molle agita i panneggi, le tende di ogni dimora, una percussione sorda scandisce il ritmo a perdere di un progressivo disfacimento, fugaci occhiate, improvvise indecisioni, s'accordano a minime varianti della gradazione della tessitura cromatica dell'immagine) che si riverbera, affine, nelle geometrie essenziali e stilizzate degli scontri armati, chilometri lontane dalle prodezze anti-gravità del cappa-e-spada recente e anzi come condotti - in specie quelli della protagonista - con una sorta di plastica stanchezza, a ribadirne la sostanziale inutilità a fronte di conflitti ben più profondi e irresolubili.


Nel cuore di una messinscena di smagliante nitore, nell'alternarsi di drappi, di coltri, di velature che ottundono/palesano i volti e i corpi impegnati in gesti e silenzi la cui sommessa ritualità allude all'illusione di eliminarne o quantomeno limitarne le conseguenze, s'intravede il lavorìo bieco che il Tempo opera sugli slanci e le figure umane (quest'ultime di preferenza al centro del punto di vista o destinate a smarrirsi in una vastità indifferenziata), rendendo per contrasto ancor più struggente il viluppo irrisolto delle passioni (con maggiore, febbrile veemenza, nodo ugualmente non sciolto dal W.Kar-wai di "Ashes of Time") nella composta disperazione che, prendendo atto di quanto il ritmo della Storia neghi la cronologia interiore dei singoli - ovvero, quel continuum coerentemente (e giustamente) sospeso, restìo a piegarsi ad un prima e un dopo ma incline all'eterno fragile del qui e ora dell'appagamento o dell'umiliazione - tenta comunque di sottrarsi al determinismo implacabile per cui "gli uccelli cantano solo per i propri simili".
TFK 

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