Zero Days
di Alex Gibney
USA, 2017
genere, documentario
durata, 116'
Nel linguaggio degli hackers l'espressione zero days ha un significato diverso da quello espresso dalla combinazione singole parole indicando un tipo di minaccia informatica che per il fatto di essere ancora sconosciuta non viene divulgata al fine di evitare che male intenzionati ne possano usufruire. Diversamente ma non troppo per le implicazioni che spiegheremo più avanti il documentarista Alex Gibney per il suo nuovo film utilizza il binomio lessicale per sintetizzare la cesura storica rappresentata dall'episodio relativo al sabotaggio della centrale nucleare di Natanz in Iran, avvenuto nel 2010 ad opera di un'operazione di intelligence pianificata da un pool di paesi stranieri. In questo caso a segnare il punto zero - da cui il titolo del film - nella belligeranza tra stati sovrannazionali è l'impiego strategico dello strumento informatico che da elemento difensivo atto a proteggere la sicurezza delle informazioni diventa per la prima volta una vera e propria arma offensiva capace di offendere l'obiettivo - e nello specifico il paese persiano - con effetti equiparati a quelli raggiungibili con il lancio di un ordigno nucleare.
Tale distinzione costituisce la traccia di una sorta di mappa narrativa che a partire dal titolo ("Zero Days") fa viaggiare le immagini del film in due direzioni destinate a interagire attraverso la vicenda che nel 2012 portò il presidente dell'Iran Maḥmūd Aḥmadinežād ad accusare formalmente Stati Uniti e Israele degli attacchi subiti che oltre al danneggiamento delle centrifughe necessarie all'arricchimento dell'uranio, prendevano in considerazione anche gli omicidi di alcuni ingegneri coinvolti nel programma di sviluppo atomico. La prima è quella del resoconto storiografico che a partire dai giorni nostri procede avanti e indietro nel tempo per ripercorre le origini del problema costituito per l'appunto dalla decisione degli Stati Uniti di fare dello stato iraniano il poliziotto del medio oriente e quindi di appoggiarne il programma di incremento nucleare destinato poi, con la rivoluzione degli ayatollah e il rovesciamento del regime dello scià a rivoltarsi contro il mentore statunitense. La seconda invece si concentra sugli aspetti prettamente tecnici del problema che non riguardano solamente il funzionamento del super virus Stuxnet, capace, una volta installato, di funzionare in maniera autonoma e indipendente rispetto al suo originatore (portando avanti la propria azione distruttrice senza che i rilevatori siano in grado di rilevare anomalie in atto) ma che si insinuano negli aspetti meno conosciuti della questione, alcuni dei quali, come per esempio il ricorso sistematico alla Cyber Command (intelligence militare destinata a operare in ambiente cibernetico) da parte delle potenze mondiali, portano a galla la mancata regolamentazione di una materia a dir poco scottante per la capacità della stessa di incidere sulle risorse umane e materiali dell'avversario, annullandone in pochi minuti la capacità dei suoi sistemi di comando e controllo.
Corredato da una serie di interviste a personalità ed esperti coinvolti anche in prima persona negli avvenimenti occorsi nel sito di Natanz tra i quali, scorrendo l'elenco degli intervenuti, troviamo tra gli altri ex capi della CIA e del Mossad, tecnici di settore incaricati di studiare la natura del malwere e, finanche il giornalista (David E. Sanger) del New York Times a cui si devono gli articoli scritti per il New York Times a proposito delle responsabilità di Stati Uniti e e Israele negli episodi incriminati, "Zero Days" sulla scia dell'esempio lasciato dal seminale, e diciamo noi inarrivabile "Citizen Four" di Laura Poltras (a cui Gibney "ruba" qualcosa dal punto di vista estetico visuale), indaga e mette a nudo una delle vicende più oscure e intricate della politica americana e mondiale, destinata ancora oggi a influenzare il divenire dello scacchiere geopolitico mondiale. In concomitanza con un cinema che nella volontà di fare luce sulla realtà dei fatti supplisce alle omissioni della storia ufficiale (come era successo negli ultimi "Going Clear: Scientology e la prigione della fede" e "Steve Jobs: The Man in the Machine"), quelle che il regista si prende la briga di certificare nella sequenza in cui una dopo l'altro assistiamo al rifiuto da parte degli intervistati di entrare nel merito delle responsabilità da attribuire agli uni e agli altri, "Zero Days" si produce in uno scarto di senso in cui la verità ultima è paradossalmente affidata alle parole dell'avatar (in realtà un'attrice con sembianze modificate con la tecnica del morphing) creato dai maghi della CG, al quale Gibney attribuisce i pensieri e le testimonianze raccolte in via confidenziale da chi, avendo preso parte alla operazione "Olympic Games" (così si chiamava la missione incaricata di neutralizzare gli impianti iraniani), ha deciso previa anonimato di rivelare i retroscena del loro mandato.
Ed è proprio il palesamento inquietante e incredibile dello scenario che fuoriesce dall'anonimato di queste confessioni a far sì che "Zero Days" vada oltre il casus belli in questione per abbracciare conseguenze che ci interessano prima il qualità di cittadini e poi in veste di spettatori: come potrebbero essere le ripercussioni dovute all'esistenza (lo apprendiamo al termine del film) di un cosiddetto piano Nitro Zeus, cyber attacco su ampia scala messo in piedi dagli Stati Uniti allo scopo di cautelarsi dalle ricadute di una possibile crisi irachena. Se la bravura di Gibney è oramai acclarata "Zero Days" la evidenzia nella perizia filologica della sua esposizione come pure e forse ancor di più in una struttura narrativa che senza perdere la forza dei suoi contenuti assume le movenze proprie di certi romanzi di genere che, nella fattispecie, potrebbe essere paragonate agli affreschi noir del mitico James Ellroy. Dai romanzi dello scrittore americano "Zero Days" eredità la capacità di trascendere il reale assurgendo a una forma di racconto che si nutre dei grandi archetipi della letteratura e del cinema americano. Una qualità di cui si è accorta la I Wonder Pictures alla quale va il nostro plauso per il coraggio dimostrato nell'aver deciso di distribuirlo nella sale italiane.
(pubblicata su ondacinema.it)
di Alex Gibney
USA, 2017
genere, documentario
durata, 116'
Nel linguaggio degli hackers l'espressione zero days ha un significato diverso da quello espresso dalla combinazione singole parole indicando un tipo di minaccia informatica che per il fatto di essere ancora sconosciuta non viene divulgata al fine di evitare che male intenzionati ne possano usufruire. Diversamente ma non troppo per le implicazioni che spiegheremo più avanti il documentarista Alex Gibney per il suo nuovo film utilizza il binomio lessicale per sintetizzare la cesura storica rappresentata dall'episodio relativo al sabotaggio della centrale nucleare di Natanz in Iran, avvenuto nel 2010 ad opera di un'operazione di intelligence pianificata da un pool di paesi stranieri. In questo caso a segnare il punto zero - da cui il titolo del film - nella belligeranza tra stati sovrannazionali è l'impiego strategico dello strumento informatico che da elemento difensivo atto a proteggere la sicurezza delle informazioni diventa per la prima volta una vera e propria arma offensiva capace di offendere l'obiettivo - e nello specifico il paese persiano - con effetti equiparati a quelli raggiungibili con il lancio di un ordigno nucleare.
Tale distinzione costituisce la traccia di una sorta di mappa narrativa che a partire dal titolo ("Zero Days") fa viaggiare le immagini del film in due direzioni destinate a interagire attraverso la vicenda che nel 2012 portò il presidente dell'Iran Maḥmūd Aḥmadinežād ad accusare formalmente Stati Uniti e Israele degli attacchi subiti che oltre al danneggiamento delle centrifughe necessarie all'arricchimento dell'uranio, prendevano in considerazione anche gli omicidi di alcuni ingegneri coinvolti nel programma di sviluppo atomico. La prima è quella del resoconto storiografico che a partire dai giorni nostri procede avanti e indietro nel tempo per ripercorre le origini del problema costituito per l'appunto dalla decisione degli Stati Uniti di fare dello stato iraniano il poliziotto del medio oriente e quindi di appoggiarne il programma di incremento nucleare destinato poi, con la rivoluzione degli ayatollah e il rovesciamento del regime dello scià a rivoltarsi contro il mentore statunitense. La seconda invece si concentra sugli aspetti prettamente tecnici del problema che non riguardano solamente il funzionamento del super virus Stuxnet, capace, una volta installato, di funzionare in maniera autonoma e indipendente rispetto al suo originatore (portando avanti la propria azione distruttrice senza che i rilevatori siano in grado di rilevare anomalie in atto) ma che si insinuano negli aspetti meno conosciuti della questione, alcuni dei quali, come per esempio il ricorso sistematico alla Cyber Command (intelligence militare destinata a operare in ambiente cibernetico) da parte delle potenze mondiali, portano a galla la mancata regolamentazione di una materia a dir poco scottante per la capacità della stessa di incidere sulle risorse umane e materiali dell'avversario, annullandone in pochi minuti la capacità dei suoi sistemi di comando e controllo.
Corredato da una serie di interviste a personalità ed esperti coinvolti anche in prima persona negli avvenimenti occorsi nel sito di Natanz tra i quali, scorrendo l'elenco degli intervenuti, troviamo tra gli altri ex capi della CIA e del Mossad, tecnici di settore incaricati di studiare la natura del malwere e, finanche il giornalista (David E. Sanger) del New York Times a cui si devono gli articoli scritti per il New York Times a proposito delle responsabilità di Stati Uniti e e Israele negli episodi incriminati, "Zero Days" sulla scia dell'esempio lasciato dal seminale, e diciamo noi inarrivabile "Citizen Four" di Laura Poltras (a cui Gibney "ruba" qualcosa dal punto di vista estetico visuale), indaga e mette a nudo una delle vicende più oscure e intricate della politica americana e mondiale, destinata ancora oggi a influenzare il divenire dello scacchiere geopolitico mondiale. In concomitanza con un cinema che nella volontà di fare luce sulla realtà dei fatti supplisce alle omissioni della storia ufficiale (come era successo negli ultimi "Going Clear: Scientology e la prigione della fede" e "Steve Jobs: The Man in the Machine"), quelle che il regista si prende la briga di certificare nella sequenza in cui una dopo l'altro assistiamo al rifiuto da parte degli intervistati di entrare nel merito delle responsabilità da attribuire agli uni e agli altri, "Zero Days" si produce in uno scarto di senso in cui la verità ultima è paradossalmente affidata alle parole dell'avatar (in realtà un'attrice con sembianze modificate con la tecnica del morphing) creato dai maghi della CG, al quale Gibney attribuisce i pensieri e le testimonianze raccolte in via confidenziale da chi, avendo preso parte alla operazione "Olympic Games" (così si chiamava la missione incaricata di neutralizzare gli impianti iraniani), ha deciso previa anonimato di rivelare i retroscena del loro mandato.
Ed è proprio il palesamento inquietante e incredibile dello scenario che fuoriesce dall'anonimato di queste confessioni a far sì che "Zero Days" vada oltre il casus belli in questione per abbracciare conseguenze che ci interessano prima il qualità di cittadini e poi in veste di spettatori: come potrebbero essere le ripercussioni dovute all'esistenza (lo apprendiamo al termine del film) di un cosiddetto piano Nitro Zeus, cyber attacco su ampia scala messo in piedi dagli Stati Uniti allo scopo di cautelarsi dalle ricadute di una possibile crisi irachena. Se la bravura di Gibney è oramai acclarata "Zero Days" la evidenzia nella perizia filologica della sua esposizione come pure e forse ancor di più in una struttura narrativa che senza perdere la forza dei suoi contenuti assume le movenze proprie di certi romanzi di genere che, nella fattispecie, potrebbe essere paragonate agli affreschi noir del mitico James Ellroy. Dai romanzi dello scrittore americano "Zero Days" eredità la capacità di trascendere il reale assurgendo a una forma di racconto che si nutre dei grandi archetipi della letteratura e del cinema americano. Una qualità di cui si è accorta la I Wonder Pictures alla quale va il nostro plauso per il coraggio dimostrato nell'aver deciso di distribuirlo nella sale italiane.
(pubblicata su ondacinema.it)