FlavioH -Tributo a Flavio Bucci
di Riccardo ZInna
con Flavio Bucci, Alessandro Haber, Giuliano Montaldo
Italia, 2018
durata, 80'
Nella carriera di un attore ci sono personaggi che funzionano come un'arma a doppio taglio, perché se da un lato l'eccezionalità dell'interpretazione consente all'interessato di lasciare un ricordo indelebile nell'immaginario dello spettatore, dall'altro la persistenza del riferimento finisce per fagocitane il talento, al punto da non permettergli altra scelta che non sia quella di reiterare il modello o scomparire. In questo senso, il caso di Flavio Bucci è paradigmatico, poiché a fronte di un talento artistico che lo ha visto primeggiare nel cinema e nel teatro, non c'è dubbio che a farcelo ricordare sia soprattutto il ruolo del pittore Antonio Ligabue nell'omonimo sceneggiato televisivo diretto da Salvatore Nocita. Così, pur immaginando quali e quante siano state le ragioni che hanno spinto Riccardo Zinna a dedicare il suo progetto all'attore piemontese, facendone non solo il centro d'interesse del film ma riuscendo a riportarlo dopo anni di assenza davanti alla mdp assegnandogli la parte di sé stesso e quello di guida spirituale della narrazione, certo è che "FLAVIOH - Tributo a Flavio Bucci", seppur in linea con il carattere del personaggio e quindi poco incline a una ricostruzione filologica e istituzionale della biografia artistica del protagonista, ben si presta - per la sua forma documentaria - a una rivalutazione critica del nostro atta a testimoniarne la poliedrica genialità sulla base di trascorsi che lo hanno visto giovanissimo partecipare ad alcuni dei film italiani più importanti dello scorso secolo: da "La classe operaia va in paradiso", in cui condivise il set con Gian Maria Volontè, mentore che ne favorì l'ascesa nel cinema più impegnato e militante di quegli anni, a "La proprietà non è più un furto", diretto, come il primo, dal grande Elio Petri, ai lavori con Montaldo sullo schermo e in televisione, anch'essa frequentata con profitto. Senza dimenticare le sue qualità di doppiatore, prestando la voce a star del calibro di John Travolta, Gérard Depardieu e Sylvester Stallone, e di produttore ("Ecce bombo" di Nanni Moretti).
I meriti del film, però, non finiscono qui, poiché "Flavioh" oltre a riportare alla memoria fatti dimenticati ma comunque conosciuti, arriva a fare quello a cui molti biopic non riescono nemmeno ad avvicinarsi e cioè a ricostruire - portandoli sullo schermo con l'aiuto del protagonista - i lati oscuri e le contraddizioni di una personalità genuina ma complessa, costretta a convivere con i fantasmi di un estro che, come spesso capita ai grandi, è fonte di gioie nel lavoro e di dolore nel privato. Da questo punto di vista Zinna non risparmia niente al suo personaggio, raccontandone pregi e difetti con una partecipazione che travalica il rapporto tra regista e attore e sconfina in una complicità fatta di risate e malinconia, il tutto all'insegna di un "umano troppo umano" ben sintetizzato dalla sequenza d'apertura, in cui un Bucci a dir poco contrariato rischia di mandare tutto all'aria (il film e il suo regista), facendo fuochi e fulmini contro chi non si è curato di assicurargli il giusto relax tra un ciak e l'altro.
Con stile franco e colloquiale Zinna (prematuramente scomparso lo scorso settembre) non si limita a riproporre il documentario più classico, quello in cui il protagonista e gli altri interlocutori parlano di sé e degli altri rivolgendosi direttamente alla telecamera, ma, in conformità al personaggio, ne rappresenta l'irrequietezza costringendo a un viaggio itinerante in cui le diverse tappe del tragitto - a Torino, dove tutto è iniziato, a Roma in cui abitano la madre e il fratello, e anche all'estero per salutare il figlio e la compagna - offrono l'occasione per mettere insieme un amarcord pubblico e privato in cui chi lo ha conosciuto da vicino contribuisce a farsi un'idea di chi è stato e di chi è oggi Flavio Bucci, omaggiato alla sua maniera da Zinna che, senza nasconderne le complicazioni di salute, lo riprende claudicante e affaticato come un Re Lear in esilio dal suo regno. Favorito dal passo simile a quello di un diario di viaggio (regista attori e troupe si spostano da un punto all'altro a bordo di un camper molto vintage), "Flavioh" più che un documentario è un blues on the road destinato a diventare un luogo dell'anima. Quella di Bucci, nonostante le molte vicissitudini, ancora pronta a dare battaglia a chi, ancora oggi, ne vorrebbe fare un attore come gli altri. Zinna che del film è anche sceneggiatore, direttore della fotografia e musicista dimostra di essere cineasta a tutto campo. Ci mancherà!
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it)
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