martedì, ottobre 30, 2018

7 SCONOSCIUTI A EL ROYALE


7 sconosciuti a El Royale 
di Andrew Goddard
con Chris Hemsworth, Dakota Johnson, Jeff Bridges
USA, 2018
genere, thriller
durata, 141'




Presentato in concorso al Festival del cinema di Roma, “7 sconosciuti a El Royale” è il recente lavoro cinematografico del regista Drew Goddard, noto ai più per aver scritto la sceneggiatura di “Sopravvissuto – The Martian”.

Il suo ultimo film è un’opera corale con alcuni riferimenti e omaggi a Tarantino.

El Royale è un hotel che si trova sulla linea di confine tra Nevada e California, le cui camere sono distribuite in maniera perfettamente simmetrica tra i due stati. La prima scena è emblematica perché rappresenterà il filo conduttore dell’intero film: un uomo decide di soggiornare in questo albergo e, sotto le assi del pavimento della propria camera, nasconde una valigia. Qualche istante dopo aver sistemato tutto alla perfezione viene, però, ucciso. La storia fa, poi, un lungo salto temporale per arrivare a dieci anni dopo tale evento. Siamo negli anni Settanta e nello stesso posto decidono di soggiornare alcuni personaggi i quali, apparentemente, sembrano persone comuni, ma che, in realtà nascondono fin troppi segreti. Procedendo con la narrazione (suddivisa in capitoli, inizialmente sulla base delle camere e dei rispettivi ospiti, successivamente in base alle storie passate di tali personaggi) veniamo a conoscenza dei rapporti che si instaurano, più o meno volontariamente, tra le varie persone.

Goddard riesce a far rimanere lo spettatore con il fiato sospeso per quasi tutta la durata del film con colpi di scena ben gestiti. Ma è sicuramente la musica il punto centrale della narrazione e anche dello sviluppo dei personaggi. E’ grazie al personaggio di Darlene Sweet, una cantante, star dei musical, interpretata da Cynthia Erivo, che entra in moto tutta la narrazione di “7 sconosciuti a El Royale”. Una sorta di thriller che riesce a tenere desta l’attenzione del pubblico, nonostante i personaggi rimangano sostanzialmente in superficie. Di ognuno di loro viene accennato e mostrato il passato, o meglio una parte di esso, senza però andare a scavare troppo in profondità, mantenendo tutti, più o meno, sulla stessa linea, chi per un motivo e chi per un altro.

Al di là della struttura della narrazione, che procede senza intoppi, e fa rimanere lo spettatore incollato allo schermo sempre in guardia da qualche eventuale effetto sorpresa, un altro elemento importante sotto questo punto di vista, che rende la trama sempre più avvincente è il numero dei personaggi: non il fatto che, essendo un film corale, essi siano tanti, quanto piuttosto il continuo richiamo al titolo, nel quale riecheggia il numero 7. Lo spettatore, per tutta la durata del lungometraggio, si ritrova a contare i personaggi e a domandarsi costantemente quando arrivi il personaggio successivo (perché non tutti e sette ci vengono presentati fin dall’inizio). Goddard è, quindi, molto abile anche nel creare una suspense meno “violenta” e più “impostata” che accompagna il pubblico fino alla fine.

Aspetto non trascurabile è, inoltre, il riferimento doveroso all’epoca storica nella quale il film è ambientato. Ci troviamo nel 1970 (data che si può evincere dal celebre discorso del presidente Nixon in tv) e quello che il regista vuole mostrare non è in realtà l’intreccio che si viene a creare tra i sette protagonisti della vicenda, ma una vera e propria critica alla società dell’epoca, sotto tutti i punti di vista, tanto da arrivare a lasciarci, alla fine, con un quesito irrisolto, aperto a varie interpretazioni, nel bene o nel male.
Veronica Ranocchi

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