giovedì, settembre 27, 2012

New Hollywood (6): Il texano dagli occhi di ghiaccio

Il texano dagli occhi di ghiaccio (The Outlaw Josey Wales)
regia: Don Siegel
cast: Clint Eastwood, Sandra Locke
Usa 1976


Stati Uniti, seconda meta' del secolo diciannovesimo. Josey Wales e' un uomo
qualunque. Vive in un podere strappato ai boschi da qualche parte del Missouri,
con moglie, un figlio di pochi anni e una semplice idea di vita solitaria e
tranquilla. Una specie di equilibrio, insomma.
Evidentemente al mondo non piace l'equilibrio - magari non la versione datagli
da Wales, chissà - Sta di fatto che glielo strappa di mano, nelle vesti di un
manipolo di soldati nordisti sbandati che fanno scempio della famiglia,
distruggono i suoi scarsi averi e lo abbandonano credendolo morto.
A Wales, che s'è era sempre tenuto alla larga dalla Guerra Civile, non resta
che aggregarsi agli ultimi gruppi di sudisti in circolazione per cercare di
ottenere vendetta, non avendo alcun interesse di parte da sostenere o una causa
cui aderire.
Quando - rifiutata la resa - risponderà con la strage alla strage perpetrata
dai nordisti con un trabocchetto ai danni di ciò che resta dei suoi commilitoni
che avevano accettato di deporre le armi (scena malamente citata e resa
enfatica da Costner nel suo "Balla coi lupi" (1990)), diventerà un reietto e un
ricercato.
S'aprirà così per lui una lunga peregrinazione attraverso le terre devastate
dalla guerra, nella desolazione umana e morale di uomini e donne ridotti al più
ferino stato di autoconservazione. Lungo il tragitto raccoglierà intorno a se'
- al di la' delle sue stesse intenzioni, catalizzatore ideale prima che figura
autoritaria - un curioso e variegato assortimento di disperati: una squaw
sottratta alle angherie di un bruto intrallazzatore; un vecchio capo indiano
vagabondo; i superstiti di una carovana - due vecchi, una donna anziana e la
sua giovane nipote, Laura Lee (Sondra Locke, da qui per Eastwood compagna di
vita e di celluloide per oltre un decennio); addirittura un randagio macilento,
di quelli che s'incontravano nei film di John Ford, per intendersi.
Con loro, regolerà i conti con il passato, lotterà per difendere il presente,
stringerà un patto di leale vicinanza con una tribù indiana e proverà a
ricominciare a vivere.
A quarantasei anni Eastwood, qui alla quinta regia e ad una nuova co-
produzione Malpaso, dopo le prove d'attore con Sergio Leone e soprattutto con
Don Siegel, si sentiva pronto a dire la propria in filigrana su certi aspetti
della società americana del periodo, tanto da non esitare, per aggiudicarsi la
storia, ad estromettere lo sceneggiatore Philip Kaufman chiamato a dirigerla e
ad accollarsi gli oneri della multa comminatagli dall'Associazione dei Registi
Americani in conseguenza del suo "colpo di mano".

Il chiaro intento di Eastwood, esemplificato nelle vicende del laconico Josey
Wales (evitiamo di dilungarci più di tanto sull'idiozia del titolo italiano
che, tra l'altro, allude ad un "texano" inesistente, provenendo Wales dal
Missouri), uomo ferito e rabbioso, che nella vendetta non cerca redenzione ma
probabilmente persino la propria stessa morte, e' quello di capire se in un
America stravolta e umiliata dalla guerra (al tempo delle riprese, gli echi
ancora freschi e dolorosi del Vietnam, come ai giorni di Wales la Secessione),
dalla sfiducia nelle istituzioni e nella legge (il disorientamento conseguente
al non ancora esaurito caso Watergate e la riluttanza del mondo degli stati del
Sud ad accettare una volta per tutte il "nuovo ordine" imposto dai vincitori
del Nord), e' possibile ristabilire le condizioni per un altro contratto
sociale, un rinnovato patto tra gli uomini, fondato sull'inclusione, sulla
solidarietà, sull'impegno a non lasciare indietro nessuno, allo scopo se non di
edificare l'armonia in terra, almeno una convivenza pacifica.

Accusati spesso di mancanza di mezze misure, di rozzezza ideologica, di
cinismo, Eastwood e lo stesso Siegel a cui Eastwood guarda spesso, sembrano
essere - e questo film ne e' ulteriore conferma - più i cantori di un idealismo
deluso o tradito che i simpatizzanti di un pensiero reazionario ottuso e
fintamente tutto d'un pezzo.


Wales che uccide e si fa giustizia da se' e' un uomo schiacciato dagli eventi,
vittima della Storia, a cui risponde con i mezzi che ha. Da un lato, per
sopravvivere; dall'altro, per non arrendersi ad una china impietosa e avvilente
che sembra trascinare tutto. Ciò non lo giustifica dal punto di vista morale:
e' utile pero', cinematograficamente parlando, a definirne l'orizzonte
psicologico e quindi i limiti del suo agire. Più o meno quello che si può
riscontrare nel "Dirty Harry" di Siegel in un contesto metropolitano, in teoria
più organizzato dal punto di vista della "legge e dell'"ordine" di quanto non
la sia una Nazione allo stato nascente, spesso e volentieri regolata solo dal
sistema ricompensa/punizione della Frontiera.

Fotografato meravigliosamente da Bruce Surtees nei toni dell'ocra e della
sabbia - i colori del sangue e della luce crepuscolare ma pure della mestizia e
del rimpianto, così come della fermezza e della voglia di resistere - Eastwood
compone, in 135' mai noiosi, mai superflui, una sorta di lucida epopea degli
ultimi, un'utopia di riconciliazione dal basso, per cui non e' follia pensare
di poter, un giorno o l'altro, intonare insieme "The rose of Alabama" senza
lacrime ma con un sorriso.

The FisherKing

1 commento:

nickoftime ha detto...

quello che mi pensare della tua analisi è la distanza tra il pensiero di oggi e quello degli anni 70 dove Eastwood era liquidato senza mezzi termini ignorando la complessità che invece tu hai sottolineato..